Semantica Tricolore

 

Semantica Tricolore

[Odoardo Borrani, 26 aprile1859, 1861]

500 nuovi tricolori fiammanti per l’aeroporto di Roma-Fiumicino, via le vecchie bandiere scolorite, sfilacciate dai venti, questione d’immagine del nostro Paese. Tra ponti crollati o crollanti, terremotati sepolti dai media, TAV balbuziente, quant’altro, il sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture rispolvera l’orgoglio della bandiera. Oriana Fallaci gli avrebbe ricordato che “La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. E’ un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno”.  A dire che un bell’abito colorato non serve se veste un manichino posto in vetrina, lo è se icona d’ un corpo vivente che in un tempo giurassico chiamavamo Patria, nome sacro, cassato nei lepidi pronunciamenti delle Istituzioni. Certo meglio un segnale positivo su “piccole cose” che il nulla abissale degli ultimi settant’anni, il tempo dell’oblio, quando la bandiera dell’Italia faceva, timida, capolino ben dietro quella rossa dei compagni o ai tempi della Padania bossiana quando s’issava quella verde col sole delle Alpi.

I simboli rimandano ad altro, al loro contenuto semantico, patrimonio genetico d’ una comunità coesa quanto cosciente della propria Tradizione, oltre l’immanenza delle scontate ma ricche diversità.

Orbene un giovane generale corso, Napoleone Bonaparte, passate le Alpi penetrò in Piemonte, sconfisse l’esercito sabaudo, piegò pure l’austriaco entrando vittorioso a Milano e proclamando la Repubblica Cisalpina nell’anno 1796. Seguiranno la Repubblica Cispadana, la Ligure, la Romana, la Napoletana. I colori della bandiera, verde, bianco e rosso furono decretati dal senato di Bologna, come attesta un documento datato 28 ottobre (ahi!) 1796. A Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 i 110 rappresentanti eletti delle Province di Bologna, Reggio, Ferrara e Modena proclamarono l’adozione della bandiera Tricolore, verde, bianco e rosso quale vessillo della Repubblica Cispadana.

Le bande però erano orizzontali, la prima in alto, la rossa, con l’iscrizione: libertà-uguaglianza, sulla bianca era riportato un turcasso rosso con le lettere R. C. Repubblica Cispadana, su quella verde veniva scritto il nome del reparto per il servizio militare. Era simile a quella francese del 1792, 2/3 dei colori uguali, il verde in luogo del blu. La scelta diversa si richiamava forse alla fallita sommossa accesa, a Bologna nel 1794, da due giovani studenti, contro lo Stato pontificio, furono distribuite coccarde tricolori nella invocata insurrezione. Finale amaro, Luigi Zamboni fu ucciso in carcere, Giovanni Battista De Rolandis impiccato. Il verde scelto da Zamboni colorava la speranza nell’Indipendenza petroniana.

La bandiera fu un parto giacobino, sull’onda della rivoluzione dell’89 dove, attenzione, prima della famosa triade: libertà, uguaglianza e fraternità, erano invocati l’Unità e l’Indipendenza della Patria. E sarà proprio in occasione della prima guerra d’Indipendenza che re Carlo Alberto darà ordine di scendere in armi contro l’Austria innalzando il vessillo tricolore, era il 1848 e le bande per la prima volta furono verticali con lo stemma sabaudo sul bianco.

Quella bandiera rappresenta la lunga marcia degli italiani per una Patria comune, portando nello zaino questo ideale forte, coltivato con indomita speranza e tributo di sangue. Una rivoluzione continua dal 1848 al 1861 ed a seguire la presa di Roma del ’70, le trincee del ’15-’18, la Reggenza del Carnaro del 1920 e ci fermiamo qui per evitare la trappola d’ impossibili nostalgie. Chiudiamo con un passo, è attuale, del discorso pronunciato da Giosuè Carducci nel 1897 a Reggio Emilia per il 1° centenario del tricolore: “Se l’Italia avesse a durar tuttavia come un museo o un conservatorio di musica o una villeggiatura per l’Europa oziosa, o al più aspirasse a divenire un mercato dove i fortunati vendessero dieci ciò che hanno arraffato per tre; […] non importava far le cinque giornate e ripigliar la baionetta in canna sette volte la vetta di S. Martino, e meglio era non turbare la sacra quiete delle ruine di Roma con la tromba di Garibaldi sul Gianicolo o con la cannonata del re a Porta Pia”.

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