Bet-El-Za

 

Bet-El-Za

[Raffaello Sanzio, La Madonna Sistina, 1513-14]

Lo scandalo di professarsi cristiani.

La parola Bellezza ha origine dal sanscrito Bel-el-za che significa “Il luogo dove Dio brilla”, un corpo, una forma nei quali Dio ha posto dimora spalancando le ante affinché entri la sua luce riflessa dagli occhi, da un sorriso, un gesto, un tenero silenzio. Ne L’idiota di Dostoevskij Ippolit chiede al nobile Myškin:”E’ vero principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza?” Alla domanda il nobiluomo non rispose chiarendo il quesito, lo fece invece, con un atto d’umanesimo cristiano assistere, fin al trapasso, quel giovane nihilista agonizzante.

L’aristocratico russo era un fallito, povero in canna, pieno di debiti, epilettico (come F. M.  Dostoevskij), di ritorno da una casa di cura svizzera, s’immerse nel rancoroso mondo di S. Pietroburgo offrendosi da taumaturgo-vittima per lenirne le piaghe, sanarne gelosie, odi, avidità, finirà col saldare il suo cerchio tornandosene sconfitto dond’ era partito. La sua bontà bianca, scevra da utilitarismi, sarà bastonata senza appello, quella nobile bellezza d’animo che lo faceva passare per un idiota non salverà i personaggi del romanzo ch’ ha vissuto. Eppure il suo modello era Cristo, già quel Gesù disteso nella tomba come nel dipinto da Hans Holbein il Giovane (veduto dal romanziere), citato nella narrazione quando osserva: “quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno”. Difatti sul corpo del Messia sono leggibili i primi segni di putrefazione, un corpo talmente martoriato da insinuare il dubbio che possa risorgere. Uno sconfitto dalla morte anche Cristo? Quella salma esanime non brilla della luce di Dio, è quanto resta d’ un uomo in un sepolcro, una scatola vuota, muta. La risposta alla domanda di Ippolit sembrerebbe scontata: No.

Il vero principe del mondo sono gli invincibili vizi dell’uomo, una legione in perenne assalto all’arma bianca contro le virtù e nulla è mai cambiato o cambia se non gli strumenti d’un’arcaica guerra. Myškin è l’imitazione di un Cristo umano ma invece di redimere il cuore dei personaggi innesca, in loro, la reazione del male, la sua bontà e mansuetudine conducono dritti alla tragedia, l’opposto dei suoi intendimenti.

C’è un altro personaggio che voleva cambiare da solo il mondo, un cavaliere folle, Don Chisciotte,  amatissimo dal romanziere russo, un uomo in lancia contro tutto e tutti cavalcando la nuvola del Bene, un hidalgo burattino delle proprie surreali allucinazioni, un idiota anche lui, e come il Myškin sconfitto. Allora la bellezza del bene è utopia, meglio che il nostro segmento s’ aggiunga alla retta della normalità orizzontale, continua, piatta quanto l’elettrocardiogramma d’ un morto perché il rischio di pensare a cose forti è un attentato al quieto vivere o peggio un idealismo fuori moda che ci rinchiude nella riserva degli idioti.  

“O Cristo o la verità” sentenziò Dostoevskij, un enigma se diventano opposti due termini, per fede, coincidenti, ma la verità è quella storica degli uomini, l’eterno ripetersi del male giustiziere del bene perché siamo discendenti di Caino non di Abele, un nodo che vorremmo sciogliere, spezzando le catene da una schiavitù perenne, ma quando questa possibilità c’è data preferiamo restarcene al sicuro seduti nella caverna, l’unica conosciuta, le stelle di cui ci narrano incutono troppa paura. Cristo è lo scandalo, è suo il corpo dove Dio brilla, il ponte gettato tra la terra e il cielo, l’uomo divino che grida agli schiavi di abbandonare la grotta, fuggire dall’Ade senza girarsi indietro, per tornare alla calma radura a riveder le stelle. E’ quella la bellezza che salverà il mondo con la Resurrezione, il rischio della fede, il corpo della speranza e fa scandalo oggi parlarne ancor più che presso il Sinedrio.

Il principe Myškin. il segaligno cavaliere della Mancia volarono alti ma le loro ali erano di cera, avvicinandosi al sole s’erano sciolte precipitandoli a terra, solo “Gesù ha volato più alto di chiunque altro” e ad affermarlo fu un nihilista quanto il giovane Ippolit, Friedrich Nietzsche.

In tempi di relativismo assoluto il pensar forte è riscoprire, nella bellezza della Tradizione, quelle radici cristiane che l’UE degli usurai epuloni ha negate nella sua costituzione (con la “c” minuscola).

NB: La Madonna Sistina affascinò talmente Dostoevskij da citarla più volte nei suoi romanzi.

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