Campo di fiori

 

Campo di fiori

Fu sotto il governo di Francesco Crispi che venne eretta in piazza Campo di Fiori la statua in onore del monaco domenicano Giordano Bruno, arso al rogo con l’accusa di eresia. “Martire e volentieri”, come annotò anonimo cronista del tempo. Febbraio 1600. Si dice eretta a dispetto del Vaticano per il fallimento, dopo la presa di Roma, di trovare una via di conciliazione tra il Regno d’Italia e Pio IX, ostinato ed ostile. Atto comunque doveroso, qui, condotto, serrata la bocca con la mordacchia (“la lingua in giova”), dalla prigione di Castel Sant’Angelo. Pochi giorni prima, l’8 dello stesso mese davanti ai giudici e in ginocchio, ascolta la sentenza di morte e con indomito gesto di sfida, aveva commentato: “Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io ad ascoltarla).                                                                                                                                 

La statua, opera dello scultore Ettore Ferrari, fu inaugurata il 9 giugno 1889. Tetra, a dire il vero, quasi ispirazione luciferina nel suo volgersi verso la cupola di San Pietro e a monito eterno tra il pensare titanico e l’acquiescenza dogmatica – “…io, benché agitato da iniquo destino, avendo intrapreso da fanciullo una lotta diuturna con la fortuna, invitto serbo tuttavia il proposito e gli ardimenti, onde, o per avventura io ho toccata la salute – di che solo Dio può essere testimone -, o non sono pur sempre infermo e sonnolento a un modo, o di certo domino il senso della infermità mia e lo disprezzo affatto, sì che punto non temo della stessa morte. E però a nessun mortale da me e con le forze del mio animo cedo e mi arrendo”.

Considerazione su se medesimo, non riflessione d’ordine filosofico, quasi una sorta di linea di condotta – e rispettata accettando l’estreme conseguenze -, un monito, a modello ideale. Il mio “amico” Nietzsche affermerà come il valore della filosofia trova misura nel modo come il filosofo sa adeguare la propria esistenza ad essa. Ripugna ai sistemi ordinati ai pensatori descrittori del mondo in parti omogenee alla logica di un ragionare onnivoro (in Italia Croce e Gentile gli negarono il ruolo di filosofo!). Chi se ne frega… A me torna a mente Claudio Volontè, fratello dell’attore Gian Maria, e che si lasciò dominare dall’ira e dal coltello proprio in piazza Campo di Fiori e finito suicida nel carcere di Regina Coeli. Camerata prima, anarchico nel ’68 quando ci si conobbe. Anche se questa è altra storia. Forse…

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