Restaurare l’immaginario

 

Restaurare l’immaginario

Platone, attraverso il mito di Er, racconta che l’anima di ciascuno sceglie un’immagine, paradeigma, o forma fondamentale, come disegno del destino individuale su questa terra. Anche la Scrittura ci ricorda che l’Uomo fu creato ad Immagine dell’Altissimo e nel suo tragitto mondano è chiamato a raggiungerne la Somiglianza. In fin dei conti, l’inizio della vita si descrive col “venire alla luce” ovvero uscire dalle tenebre dell’indistinto per aprire gli occhi e vedere. La visione, anche nella mistica, è superiore all’ascolto!

I nostri tempi sono, inequivocabilmente, tempi dell’immagine. Siamo sommersi e frastornati da immagini. Quello di cui, però, non sembriamo renderci conto, è che esse sono divenute strumento di inabissamento e non più di elevazione. Stordiscono anziché operare il risveglio. Le immagini della modernità sono infatti proiezioni dello psichismo che si è sostituito alla vita spirituale dell’anima. I tempi “lunari” che attraversiamo, dominati dall’elemento “femminile”, hanno smarrito l’astro solare – virile –  che ci guida con la sua fermezza. Abbiamo gli occhi spalancati, sì, ma camminiamo come dei ciechi.

Le immagini, dell’architettura che abitiamo, ma oggi più che mai quelle del cinema, si incontrano, si intrecciano e si stratificano in profondità andando a costruire un immaginario, ovvero un universo nel quale ci muoviamo, nel quale troviamo un posto alle cose della vita, anche e soprattutto ai pensieri! Ma è proprio da questo immaginario moderno che dobbiamo liberarci, che dobbiamo smantellare se vogliamo a buon diritto recuperare la statura di un sano intelletto.

L’espressione non produce, sic et simpliciter, arte. Ma nell’orizzontalità moderna che tutto schiaccia e costringe a terra, essa diviene invece ragione sufficiente. Oltre la parola e la figura non vi è nulla che trascenda. L’immaginario moderno è immanentista. Il progressismo culturale, sorretto misteriosamente dal progressismo sociale ed economico, ha distrutto ogni spinta alla verticalità e il simbolo, medium fra questo mondo e quelli superiori, è divenuto solo ricordo. Da una parte l’iper-razionalismo che si bilancia con il libero fluire di ogni emotività, fantasia e pulsione. Dall’altra, chi vorrebbe contrapporvi i buoni sentimenti e i sani princìpi morali. Questi ultimi, che appartengono a quel variegato mondo dei benpensanti, e dei “credenti”, si trovano però in posizione di tremendo svantaggio, correndo sovente il rischio di non essere credibili. Il mostro divoratore della modernità non accetta spolverate di colore. Il moralismo e il comune buonsenso sono armi spuntate perché sono prive di ogni sostanza intellettuale, mancano l’appoggio su di un genuino immaginario che ricolleghi questo mondo con quello superiore. L’immagine deve recuperare la sua vera natura, di trasfigurazione della realtà, come porta verso le forme sopra-sensibili: ha da essere una piccola epifania. Bisogna recuperare “un’estetica della trascendenza” per dirla con Attilio Mordini. L’arte è sintesi superiore, ordine dell’Essere sul caos. Creazione e Redenzione sono i suoi perni.

Abbattuto il cielo che ci sovrasta e ci ordina, il cineasta che è la più pura incarnazione della modernità, sprofonda nel “realismo”, ovvero nella ripetitiva manifestazione della molteplicità. L’arte ha fatto la sua scomparsa perché sganciandosi dalla sua Fonte, non è più universale.

Prima che però sopraggiunga il momento di ritirarsi a scrivere in clandestinità, come unico atto ancora possibile, è giusto compiere ogni sforzo per restaurare l’immaginario nel quale forma e idea siano congiunte in una sintesi armoniosa. Qui gli occhi si spalancano, le menti si aprono alle intuizioni trascendenti e l’inganno di “questo mondo” getta il velo. C’è bisogno di un altro cinema, c’è bisogno di altri occhi. Come sentenziava il grande regista russo Andrej Tarkovskij: «L’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua, in una goccia d’acqua soltanto!»

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