L’importanza di essere mediocri

 

L’importanza di essere mediocri

Di nessuno ha più paura l’uomo moderno che del genio e del profeta. Eppure proprio di queste due figure si avverte oggi una disperata necessità. Laddove esse sussistano, lo fanno nella penombra e nell’anonimato, scartate tanto dalla presuntuosa sciocchezza della massa, quanto dalla vuota spocchia dei cosiddetti intellettuali.

Per la legge delle corrispondenze, come un tempo al vertice dei saperi, vi erano la Metafisica e le Scienze sacre, così nel microcosmo umano l’intelletto era riconosciuto quale facoltà più nobile: il “fior dell’intelletto” è il fulcro dell’esperienza unitiva con le realtà superiori.  Questo aveva come sua naturale estensione nella struttura della società ben ordinata, la tripartizione in Sacerdotium, Regnum et Ars.

La distorsione su uno qualunque dei piani ha ripercussioni inevitabili sugli altri. Siamo così giunti, o dovremmo dire scivolati rovinosamente, nell’orizzontale società moderna, che tutto livella, salvo poi mal celarsi dietro la più terribile delle dittature, fonte di disparità insanabili; nell’idolatria delle nuove scienze e dello psicologismo e sociologismo che governano e danno senso al nostro universo di pensiero; nel nuovo “tipo umano” di questi tempi, un esemplare mai prima conosciuto: l’uomo senza intelletto. Questo mostro acefalo vive e mescola da un lato la ragione che si fa razionalismo, dall’altro la compulsiva emotività ridotta a sentimentalismo, del quale, ahimè, rimane vittima anche l’odierna religione, orfana di qualsivoglia cammino iniziatico e sapienziale. Perché mai questa umanità dovrebbe ancora possedere slanci di puro idealismo e nostalgia del sublime e dell’ineffabile? L’homo oeconomicus è tutta prassi e niente teoria. Egli è completamente rivolto al di fuori di sé, per questo le azioni, le cose e prima ancora i pensieri hanno per lui valore nella misura della loro utilità.

Egli cerca un posto nel mondo dove sentirsi a suo agio: l’ambiente di lavoro, la città in cui vivere, l’associazione di volontariato, il gruppo religioso. Un posto che non gli ricordi quanto sia solo. Ma la solitudine che affligge l’uomo moderno non è semplicemente mancanza o incapacità nelle relazioni, quanto invece il non saper riconoscere la solitudine archetipica che è propria della condizione umana. Solitudine che è unicità! Lottiamo per un posto, spesso a discapito di quelli che ci stanno vicino, mentre dovremmo semplicemente abitare un luogo: quello della nostra identità profonda.

Questo è quello che fanno, seppur in modi diversi, i geni e i profeti, perché essi hanno aperto le orecchie al loro daimon, ed esso gli ha scostato il velo che adombra le forme di questo mondo.  Ma per l’uomo contemporaneo, la loro voce è troppo dura e lontana. Egli cerca invece solo timbri dolci che lo rasserenino. Perfino l’arte è ridotta a questo, non più specchio in cui fissare la nostra immagine interiore. Se ciò che testimonia il valore della persona è solo e soltanto il risultato e quando esso non viene raggiunto la colpa ricade esclusivamente sul singolo – secondo la narrazione della moderna società liberale – va da sé che ogni direzione che allontani da questo scopo è una pesante zavorra di cui liberarsi il prima possibile per non schiantarsi al suolo. Nella giungla post-moderna della competizione all’ultimo sangue, ci si illude ancora di parlare di eccellenza, ma la verità è che in una cosa soltanto bisogna eccellere: nella mediocrità! Questa è la capacità di chi usa alla perfezione e con impareggiabile astuzia, gli strumenti messi a disposizione dalla società per sollevarsi dalla vile condizione delle masse, avendo appreso benissimo come miscelare gli slogan del politicamente corretto, le istanze delle avanguardie ideologiche, il tutto perfettamente conciliante con il democratismo liberistico.

Viviamo intrappolati in un’enorme stanza, dove però manca l’aria. A terra strisciano e si muovono in ginocchio “gli ultimi” e le povere masse poco scaltre a questi giochi, mentre a mezz’aria sfiorano le luccicanti volte dei soffitti, i maestri della mediocrità luminosa, i grandi esperti, come i più esuberanti creativi. Ma tutto questo odora di morte. Basterebbe aprire i vetri e mettere il naso fuori, là dove nei paesaggi sconfinati, si elevano fino a vette che gli occhi faticano a raggiungere, i veri geni e i profeti. Basterebbe semplicemente non voler essere più schiavi.

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