Palestina, seconda metà del I secolo d.C. nasce San Marco Evangelista, per la sua fede trovò la morte ad Alessandria d’Egitto come i 290 cristiani trucidati il giorno di Pasqua nello Sri Lanka. Intorno all’anno 828 d.C. alcuni mercanti veneziani ne trovarono le spoglie, e con uno stratagemma le portarono sino a Venezia, dove pochi anni dopo venne eretta la basilica intitolata al Santo. Il culto di San Marco è estremamente diffuso e capillare tra le chiese cristiane. La sua figura è centrale per le chiese copte d’Egitto, derivate dall’antico patriarcato di Alessandria, e per il patriarcato di Venezia, la festa liturgica è sempre stata festeggiata il 25 aprile, in occasione della ricorrenza del martirio.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la data del 25 aprile viene espropriata dall’anniversario della “liberazione”. Fino al Il 25 aprile 1945 nel giorno dedicato a san Marco, mariti e fidanzati erano usi donare alle proprie donne un bocciolo di rosa rossa (in veneto bócolo), l’usanza nasce dalla leggenda di Maria, figlia del doge Partecipazio, che si innamorò ricambiata del giovane Tancredi. Il sentimento era osteggiato dal padre, che non avrebbe permesso il matrimonio con un giovane di basso lignaggio, Tancredi per guadagnare fama decise di andare a combattere gli arabi in Spagna con l’esercito di Carlo Magno. Un giorno arrivarono a Venezia alcuni cavalieri francesi guidati dal paladino Orlando, celebrato nel famoso poema della Chanson de Roland, i cavalieri cercarono Maria per annunziarle la morte di Tancred;: colpito dal nemico, era caduto sanguinante sopra un rosaio. Prima di spirare, aveva colto un fiore e pregato l’amico Orlando di portarlo a Venezia alla sua amata. Maria prese la rosa tinta ancora del sangue del suo Tancredi, il giorno dopo, festa di san Marco, fu trovata morta con l’insanguinato fiore sul cuore.
Oggi il rosso che festeggiamo per il 25 aprile, è quello dei fazzoletti al collo degli iscritti all’A.N.P.I., ed il sangue, a cui rimanda, è quello dei morti narrati nel libro di Gianfranco Stella “Compagno Mitra”, che abbiamo presentato qualche mese fa in Toscana con l’apporto del nostro Giornale. Ma oggi, a distanza di 74 anni, è sicuramente legittimo chiedersi: ha ancora un senso insistere a celebrare ogni 25 aprile la Festa della “Liberazione”, ricorrenza che a differenza delle altre feste nazionali, spesso sospese per lunghi periodi o la cui ricorrenza è stata differita alla domenica successiva, è sempre stata puntualmente celebrata in tutte le città italiane, con l’intervento solenne del capo dello Stato presso l’Altare della Patria, con una deposizione di una corona d’alloro innanzi al sacello del Milite Ignoto in ricordo non di tutti i caduti, ma solo di una parte? A ben vedere questa ricorrenza finisce solo per dividere, per la sua sgradita capacità di rinnovare discordie, ravvivare rancori ed odi mai sopiti.
Occorre essere onesti: il 25 aprile non c’è nulla da festeggiare. fu, più o meno, la fine di un incubo, per alcuni iniziato già alla fine della 1° Guerra mondiale, che lasciò solo povertà, disperazione, emigrazione di massa e disordini crescenti, e culminato nell’ottobre del 1922 con l’avvento del Fascismo, che per moltissimi fu invece un autentico “miracolo”. È storicamente innegabile che Mussolini, con il suo regime, sia stato considerato dall’esordio fino alla metà degli anni ’30, dalla stragrande maggioranza degli italiani, l’uomo della provvidenza. E infatti, l’Italia Fascista si rivitalizzò, sino ad essere considerata una potenza mondiale. Contemporaneamente, alla fine degli anni ’30 si affacciò alla ribalta del mondo la politica di conquista tedesca. Fu solo allora che i tedeschi, forse per una scelta “obbligata”, divennero “l’alleato germanico”. Un alleato che, dobbiamo riconoscerlo, abbiamo seguito con facili entusiasmi nelle sue follie espansionistiche, cercando di imitarlo, e che poi alla fine, abbiamo ignobilmente tradito.
Tradimento è la parola giusta, non lo è invece il “ravvedimento” che molti pensano d’avere messo in atto partecipando alla Resistenza, partecipazione anche essa obbligata, condizionata geograficamente dal luogo in cui ci si venne a trovare dopo l’8 settembre del 1943, sorpresi dalla firma dell’armistizio di Cassibile.
Abbiamo (hanno) liberato il paese dal Fascismo e dalle truppe straniere tedesche, risalendolo a fianco di altre truppe straniere, quelle statunitensi, che a distanza di 74 anni non se ne sono ancora andate. Il 19 Settembre 2006 l’allora ministro della difesa Arturo Parisi dichiarò, dinanzi alla Camera dei Deputati, che all’epoca esistevano 8 basi Usa in Italia (intendendo con ciò riferirsi solo alle basi principali senza contare decine se non centinaia di punti di appoggio delle prime). Mauro Bulgarelli, ex deputato verde, denuncia: ogni anno gli italiani versano in media 400 milioni di euro per mantenere ufficiali e soldati dell’esercito Usa sul nostro territorio. Non solo; esistono in Italia, più di 20 basi militari Usa totalmente segrete: non si sa dove sono, né che armi e che mezzi vi siano. Se fossimo coscienti di questo, la smetteremmo ogni 25 aprile di scagliarci gli uni contro gli altri, evocando fantasmi ormai estranei alle vicende di un Paese socialmente ed economicamente malconcio, i cui rappresentati politici hanno ben poco da raccontare e da rivendicare, tanto sono modesti, confusi, abitualmente contraddittori e spesso insignificanti.
Qualcuno se ne sta accorgendo stanno aumentando nel nostro paese i comuni e le istituzioni che hanno deciso di non partecipare ai festeggiamenti. A Cumiana (Torino) il commissario ha scelto di non organizzare alcun festeggiamento. A Trieste il sindaco ha vietato il palco delle celebrazioni alla Risiera di San Sabba all’Anpi. Solo pochi giorni fa a Lentate sul Seveso era stata il sindaco Laura Ferrari, ad annullare gli eventi motivando la decisione come “una pausa di riflessione”. Alla vigilia dalle celebrazioni del 25 Aprile, mentre la Lega ribadisce che non prenderà parte alle commemorazioni, facciamo nostre le parole del pericolosissimo terrorista Albano Carrisi: “per me il 25 aprile è anzitutto la festa di San Marco Evangelista, il patrono del mio paese, Cellino San Marco, ovviamente so che è la festa della Liberazione e mi domando: ora da chi ci dobbiamo liberare?”