Che fine farà il governo giallo-verde?

 

Che fine farà il governo giallo-verde?

L’entrata in scena di Nicola Zingaretti sul palcoscenico nazionale sembra aver prodotto più danni di quanto fosse immaginabile. Non tanto per le capacità di Zingaretti, campione del nulla assoluto, quanto per le possibilità che il Pd a guida Zingaretti apre a nuovi accordi in Parlamento. E, dunque, probabilmente non è un caso che, improvvisamente, i Cinque Stelle si siano messi a sparare contro l’alleato di governo, prendendo spunto dall’avviso di garanzia ad Armando Siri, il sottosegretario leghista che, secondo l’accusa, avrebbe incassato una mazzetta da 30mila euro da un imprenditore amico di mafiosi.

Salvini ha detto subito – forte e chiaro – che in Italia si è colpevoli dopo il terzo grado di giudizio, ma Di Maio e i suoi invocano le dimissioni di Siri, mentre il ministro Toninelli, che in un anno si è distinto soprattutto per clamorose gaffe, gli ha ritirato le deleghe. Dalla vicenda è scaturito un parapiglia, che è arrivato in Consiglio dei ministri, con la Lega che ha chiesto e ottenuto lo stralcio di quasi tutto il provvedimento cosiddetto SalvaRoma.

Il dubbio degli osservatori più acuti è che questo atteggiamento bellicoso dei pentastellati nasconda la voglia di replicare a livello nazionale il modello-Lazio, dove si è trovato un tacito accordo col Pd e dove, di fatto, i Cinque Stelle sono la vera stampella di Zingaretti. Insomma, se arrivassero a una rottura con Salvini, i Cinque Stelle potrebbero trovare un’intesa col Pd di Zingaretti, per un governo giallo-rosso.

Il sospetto è lecito, visto che Di Maio e i suoi sembrano essersi cacciati di proposito in un vicolo cieco: vogliono le dimissioni di Siri, ma pretendono che per il sindaco di Roma, Virginia Raggi, che ha i suoi bei guai giudiziari, si usi un altro metro. E se la prendono con la Lega, che ha la “colpa” di denunciare i due pesi e due misure grillini.

La situazione, insomma, per il governo giallo-verde sembra precipitare di giorno in giorno, di ora in ora. La domanda è: per arrivare dove? Per fare cosa? Il 26 maggio si voterà per le elezioni europee e, dunque, fino ad allora è quasi impossibile aprire una crisi. Ma dopo? Di Maio e Salvini, da settimane ai ferri corti, troveranno una nuova intesa? O Di Maio cederà ai Fico e ai Di Battista e sceglierà la linea dell’accordo col Pd? E, in quel caso, come reagirà la Lega? Perché, se è vero che Zingaretti oggi guida il Pd, è pur vero che i gruppi parlamenti del Pd sono ancora “targati” Renzi e, dunque, potrebbero rispondere con un “no” all’ipotesi di un accordo con i Cinque Stelle. In tal caso, si aprirebbero spiragli per un governo Lega- FdI-Forza Italia e frange del Pd renziano.

Siamo alla fantapolitica? Forse. Quel che è certo è che ci piacerebbe veder lavorare ancora il governo del cambiamento. Magari con azioni orientate a cambiare davvero un Paese in ginocchio. Ma abbiamo la sensazione che, subito dopo le Europee, assisteremo al peggio del peggio. Perché, se dovesse fallire il progetto giallo-verde, la strada maestra sarebbe quella delle elezioni. Una strada, però, che non imboccherebbe mai il presidente Mattarella. Che, ne siamo certi, asseconderebbe inciuci e controinciuci, pur di andare avanti in una legislatura che, a quel punto, non avrebbe più alcun senso. E a pagare, tanto per cambiare, sarebbero gli italiani.

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