L’Italia del 25 aprile

 

L’Italia del 25 aprile

25 aprile. Un’altra volta: che barba, che noia. Eppure no, qualcosa bisogna pur pensare e dire. Chi scrive è di parte: la parte perdente. Ho attraversato la vita intera da esule in Patria per non credere nelle verità ufficiali. Ribelle e bastian contrario per natura, probabilmente avrei avuto a noia nel ventennio gerarchi e marce militari, e, conoscendomi, non avrei perso occasione per farmi dei nemici, con qualche rischio in più rispetto agli antifascisti spuntati a milioni a cose fatte. Diceva bene Leo Longanesi settant’anni or sono, osservando che in Italia c’erano due tipi di fascisti, quelli propriamente detti e gli antifascisti.

Oggi, nell’anno di grazia 2019, sopravvivono esemplari giurassici delle due categorie. In verità, soprattutto della seconda. Essere antifascisti in assenza di fascismo è facile, comodo. Fu oltre la comicità, qualche decennio fa, Norberto Bobbio, quando dettò il Verbo con tono di vate: dove c’è cultura non c’è fascismo, dove non c’è, lì è il fascismo. Detto da uno che si prosternò davanti al duce dei buzzurri, non vale la pena ricordare Gentile e Marinetti, Pirandello e Marconi, Cinecittà, Sironi, gli architetti, gli economisti che fondarono l’Iri.

E’ migliore o peggiore l’Italia, dopo gli eventi drammatici di cui è simbolo quel giorno? Ognuno dia la sua risposta, io non intendo imporre la mia. Certo, è strana una nazione che fonda se stessa su una sconfitta e anzi la esalta come vittoria perché un regime sgradito è stato cacciato. Ma la mia Patria non è un regime, si chiama Italia, e non si fonda sulla demonizzazione di un pezzo di storia e di una parte rilevante di italiani.

L’Italia che uscì dalla tempesta dimenticò tanto di sé. Innanzitutto i simboli, la bandiera proscritta, chi la impugnava era sempre sospetto di fascismo. Da un lato chi sognava il sole dell’avvenire del comunismo, dall’altro chi si faceva amerikano. Italia non più italiana per oblio. Galli della Loggia parlò di morte della Patria dopo l’8 settembre, io penso che il decesso sia avvenuto dopo, in quel dopoguerra di guelfi e ghibellini i cui modelli erano Urss e Usa. Peppone, italianissimo nonostante tutto, e Moriconi Nando innamorato di tutto ciò che veniva da oltre Oceano. Liberatori, dicono. A prezzo di bombardamenti terribili che fecero ben più morti delle bieche rappresaglie tedesche, chi ricorda i bambini e le maestre della scuola di Gorla, nella Milano capitale dell’antifascismo? 

Non so se ci hanno liberato, constato che ci hanno conquistato. Non solo perché, a tre quarti di secolo dalla guerra finita, hanno cento e più basi militari a casa nostra, pagate da noi, ma perché la loro american way of life è diventata la nostra. Abbiamo cambiato lingua, oh yes, testa e valori. Abbiamo cambiato pelle. Si rivolta nella tomba perfino Antonio Gramsci.

E’ stato meglio, certo, essere stati servi degli americani che schiavi dei sovietici; quella contrapposizione è però finita da trent’anni e intanto sfilano con le stesse bandiere ogni anno più stinte e fingono di non accorgersi di chi ha vinto davvero. Ha vinto anche Finocchiaro Aprile, che voleva fare della Sicilia uno stato dell’Unione a stelle e strisce, forse ha trionfato davvero, come sosteneva la propaganda dei vinti, l’oro contro il sangue. Certo ha vinto la divisione perpetua.

Ogni male del mondo è fascista: in fondo è rassicurante, persino necessario. Strana sensazione essere il Male: in fondo, è un personaggio indispensabile nell’eterna rappresentazione della vita.  

Aveva ragione Giorgio Almirante ricordando che l’amore della libertà l’aveva assorbito soffrendo ogni dì persecuzione e disprezzo. Aveva torto invocando pacificazione: quella doveva venire subito. Non ci fu, ancora non c’è, al di là di qualche frettolosa parola di rispetto per i morti pronunciata a mezza bocca. Questa è l’Italia in cui è proibito definire assassinio l’omicidio di Giovanni Gentile, il massimo filosofo del nostro XX secolo, e nella quale hanno la medaglia d’oro gli autori di attentati sanguinosi.

Eppure, bisogna andare avanti. È tardi per cambiare le cose, lasciamo che festeggino, limitiamoci a non guardare i telegiornali e non ascoltare i notiziari radiofonici. A sera, tutto sarà passato, domani è un altro giorno.

La cosa grottesca è che sta passando l’Italia. Tra immigrazione massiccia, aborti, individualismo rampante e nuovi diritti, tutte libertà amerikane, tra pochi anni il 25 aprile sarà finito per cessata nazione. Magra consolazione. Onore e rispetto a chiunque abbia combattuto, sotto qualunque bandiera, animato da un ideale. Meglio, mille volte meglio dei pavidi, dei carrieristi, degli opportunisti, dei cauti. La maggioranza.          

Torna in alto