Scuola di Pensiero Forte [51]: il paradigma teleologico della comunità

 

Scuola di Pensiero Forte [51]: il paradigma teleologico della comunità

Dalla struttura è facile giungere alla comprensione del paradigma[1] teleologico della comunità.

La tradizione politica pre-moderna vive dell’assunto secondo cui il legame politico è un vincolo “interiore” dell’individuo umano, che è naturalmente predisposto alla vita in comunità. Il concetto stesso di “bene comune” fondato sulla relazione organica tra l’imperfetto (imperfectum) ed il perfetto (perfectum), tra l’individuo (unus homo) e la comunità (communitas), è l’esempio più evidente del ricorso alla metafora organicistica della comunità, che attraversa gran parte del pensiero politico occidentale, sia nel periodo classico greco-romano che in quello medievale.

Non ha alcun senso, ad esempio per San Tommaso d’Aquino, parlare di bene comune se non si riconosce il significato stesso di bene, che oltre ad essere il compimento realizzativo, di cui ogni ente di questo mondo non può fare a meno, è anche il grado di conformità del fine all’organico, al naturale. La bontà delle cose deriva dal loro tendere ad un fine conveniente, e il bene di una cosa è il suo fine. “Il bene – scrive – è il primo concetto appreso dalla ragion pratica, ossia dalla ragione diretta verso l’azione; ciascun agente, infatti, agisce per un fine, e fine vuol dire bene. Il primo principio della ragion pratica è perciò quello fondato sul concetto di bene ed è bene ciò cui ogni cosa tende. Il primo precetto della legge morale, cioè della lex naturalis, è dunque si deve fare e perseguire il bene e si deve evitare il male. Su questo principio si fondano tutti gli altri precetti della legge morale, la quale comanda di perseguire tutte le cose che la ragion pratica apprende come beni umani. E poiché il bene è il fine e il male è ciò che è contrario, la ragione apprende come bene, e quindi come cosa da perseguire, tutto ciò verso cui l’uomo è naturalmente incline, e come male ciò che è a lui contrario. Pertanto, l’ordine dei precetti della legge morale segue quello delle inclinazioni naturali».[2]

L’essere conforme alla natura, dunque, s’incrementa nel fine. Tale rilievo fenomenologico viene da Tommaso elevato al rango di una concezione ontologica per cui non solo alcune cose sembrano tendere al bene ma tutte le cose tendono al meglio, che non si comprenderebbe senza il riconoscimento della sua connessione al fatto per cui “ogni agente agisce per un fine”. La teleologia, come unità naturale della realizzazione di un fine, è il principio e la mèta del processo di realizzazione consegnato all’uomo.

La comunità politica è come il corpo umano: un organismo vivente, in cui ciascun organo esercita una funzione specifica, esclusiva e imprescindibile come parte della totalità biologica. Un corpus ordinato e ordinante, che “agisce sotto lo stimolo della suprema equità”, è “retto dalla guida della ragione”, dirige e conserva la totalità degli organi. La comunità è, al contempo, un’universitas e un’entità circoscritta, parte integrante di una totalità più vasta, una civitas civitatum, i cui membri interdipendenti ambiscono al fine della realizzazione del bene comune. Ogni ufficium ha l’obbligo di adempiere i propri compiti, senza confusione di ruoli, e può realizzare soltanto questi. Va da sé che la legge ontologica di vita, l’aequitas, è anche la legge suprema della comunità, riconosciuta dalla ragione, e che la iustitia, esplicantesi in forma iustitiae, ossia in leggi positive, è il principio d’ordine della stessa comunità e si fa valere nell’ordinamento pubblico grazie al governante, che è servo dell’aequitas e servitore del bene comune. Egli avvera l’aequitas poiché ama la giustizia, formula e applica conformemente le leggi, secondo un nesso che “costituisce la legalità di un retto dominio; il signore che spezza questo nesso – che pone al posto di aequitas e iustitia la propria volontà e in base a questa, come legislatore autonomo, forma le leggi – è un tiranno”.[3]

La comunità politica è, in termini aristotelici, una costruzione secondo natura: l’uomo è, per natura, un costruttore di comunità. La comunità politica sorge perché gli uomini si associano allo scopo di sopravvivere come comunità fondata sulla necessità e a questa danno forma di comunità di ragione e di volontà, consapevolmente e in conformità al fine della “perfezione naturale”. Proprio queste finalità positive della comunità, accessibili all’uomo come essere razionale, denotano il nuovo spazio liberato per l’agire politico.

Quello di vivere in comunità è, quindi, un bisogno naturale dell’uomo, che deve “soddisfare le necessità della vita, cosa che gli è resa possibile dal gruppo familiare di cui fa parte”, al fine di “avere una vita pienamente sufficiente non solo per vivere ma per vivere bene”.[4]

 

 

[1] Cfr. Treccani Online, voce Paradigma: s. m. [dal lat. tardo paradigma, gr. παράδειγμα, der. di παραδείκνυμι «mostrare, presentare, confrontare», comp. di παρα- «para-2» e δείκνυμι «mostrare»] (pl. –i), significa “esempio”, “modello”. Nella linguistica moderna, l’insieme degli elementi della frase che contraggono tra loro una relazione virtuale di sostituibilità, potendo sostituirsi gli uni agli altri nello stesso contesto. Nel linguaggio filosofico, termine usato da Platone per designare le realtà ideali concepite come eterni modelli delle transeunti realtà sensibili, e da Aristotele per indicare l’argomento, basato su un caso noto, a cui si ricorre per illustrare uno meno noto o del tutto ignoto. In altro modo il termine è stato recentemente introdotto nella sociologia e filosofia della scienza per indicare quel complesso di regole metodologiche, modelli esplicativi, criteri di soluzione di problemi che caratterizza una comunità di scienziati in una fase determinata dell’evoluzione storica della loro disciplina.

[2] Cfr. San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I-II.

[3] D.Mertens, Il pensiero politico medievale, Il Mulino, Bologna 1999.

[4] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, p. 1.

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