Ettore e Leonardo, volti in ombra di italico lignaggio
Di Ettore Fieramosca scrisse romanzo storico Massimo d’Azeglio (1833), rendendolo pur dal tratto improprio figura di condottiero eroico e patriottico, fra i precursori del cammino verso il compimento dell’unità d’Italia. Seguirono poi alcune realizzazioni cinematografiche (con Gino Cervi e la regia di Alessandro Blasetti nel ’38). La Marina Regia ne varò un sommergibile con il suo nome. Oggi, una scuola media e una statua è a lui dedicata in quella città di Barletta che lo rese celebre.
Era il 13 febbraio 1503 quando si svolse la Disfida fra tredici cavalieri italiani, al soldo del Gran Capitano Consalvo de Cordova a capo delle truppe spagnole del Regno di Napoli, e altrettanti francesi loro prigionieri. Uno di costoro, detto la Motte, istigato dagli stessi spagnoli, mise in ridicolo il valore degli italiani. (‘Franza o Spagna purchè se magna’, proverbio attribuito al Guicciardini nel 1526 non ci onora, certo!, e che di sensibilità patria nulla possiede).
La sfida fu raccolta e si risolse con la vittoria sicura delle armi italiche.
Ettore Fieramosca era nato a Capua nel1476 da piccola nobiltà locale avviato all’arte militare e partecipe delle tante guerre che attraversarono la penisola imponendo la forza e gli interessi sia della Francia che della Spagna fino al controllo di quest’ultima di gran parte della penisola tanto da rendere il Papa e Venezia e Firenze poco meno che suoi vassalli. E’ forse questa la ragione ultima che, negli anni del liceo, costui ci venne proposto quasi un prepotente signorotto dai tratti banditeschi più che, anche se confuso, guerriero sensibile ad un lungo percorso identitario? Da narrare sulla falsa riga del tristo don Rodrigo nei Promessi sposi.
Altrettanto ci è dato pensare, però, ad intenti meno critici e più vilmente polemici… Parlare di Patria, di antiche sue virtù, di valori comunitari, del Risorgimento e delle trincee del Carso portava a confrontarci tra la Storia, pur con i suoi aspetti aperti alla critica, ed una (vittoriosa) liberazione che ebbe esito solo perché lo straniero – la V e l’VIII Armate alleate – si schierò ad occuparne il territorio per donarci la democrazia, quale maschera della sottomissione. Forse qualcuno si sarebbe sollevato da troppa umiliazione e allora ben venga svendersi quali cittadini del mondo.
Ad Amboise, Francia, il 2 maggio 1519 moriva Leonardo da Vinci. Figlio di Pietro e cresciuto in una bottega di quel piccolo borgo toscano. Terra d’Italia, comunque non esistesse un unico stato e un inno e una bandiera. Quattrocento anni sono trascorsi. Anniversario che, riportato oltre Alpi, lo si celebra genio quasi fosse ‘francese’.
Come le tante opere trafugate nel corso dei secoli da una cultura da padroni. Non basta. Vi si aggrega con animo servile chi, impataccato di titoli da giurista di università piccina e inutile, ne rafforza l’accento con la mediocre strombazzata appunto che, in quel secolo, l’Italia non era uno Stato.
Nel nostro DNA pochi gli Eroi, troppi i Badoglio…