La scuola non è zona franca – il caso della professoressa sospesa
Non fa piacere vedere la Digos, che checché se ne dica è a tutti gli effetti una polizia politica (nulla da dire eh), entrare in una scuola. Tanto più se le modalità con cui viene inviata a svolgere un’indagine è attivata tramite canali prettamente politici, mediatici e (cosa forse più grave) preferenziali.
Non dovrebbe piacere a nessuno, questo. Né a destra-destra, né a sinistra-sinistra, perché a prescindere dall’idea più o meno autoritaria dello Stato che uno può avere (questione che in ogni caso, messa così sul tavolo, è assai malposta), tutti dovrebbero concordare che lo Stato funziona tanto meglio quanto più impedisce alla sua autorità di apparire per quello che è: Dominio (A. Iacono). Bisogna sempre che la weberiana razionalizzazione crescente abbia la meglio, tramite la forma giuridica, la legge, sull’istinto del potere di mostrarsi sempre per ciò che è: la forza.
Che la scuola venga difesa come uno spazio spoliticizzato è una fesseria. Chi lo crede, o è in malafede, o vive in una condizione di ingenuità davvero allarmante, forse a tratti più allarmante dello stesso intervento della Digos. La scuola pubblica è stata istituita con un atto politico a fini interamente politici. Vi risparmio il corollario foucaultiano che qui sembra superfluo.
Ma, per quanto non faccia piacere, neppure per questo, vedere un’insegnante sospesa per quella che a tutti gli effetti potrebbe essere derubricata come una boutade, non si possono, e NON si devono ignorare alcune verità oggettive. Le quali sono che non esiste, e non deve esistere, all’interno della Scuola pubblica una percezione di impunibilità della propria opinione, perché questa impunibilità non esiste in nessun luogo, né, probabilmente, dovrebbe.
Un’insegnante ha il dovere, anzitutto, di preoccuparsi della Forma, non perché essa sia più innocua della sostanza (che poi è una fesseria che solo i semi-colti possono pensare, la Forma è la cosa più terribile, rivoluzionaria e inarrestabile che ci sia) ma perché uno studente ha una vita intera davanti per riempire la Forma con la Sostanza, ed ha al contrario pochissime occasioni di pensare alla Forma.
Ed in questo caso la Forma è che il Decreto Sicurezza è stato un atto avente forza di legge approvato secondo quanto stabilito nella Costituzione italiana, che finché questa non venga contestata in sede di sindacato di costituzionalità o abrogata, è legge dello Stato, e come tale va rispettata. La Forma è che il Parlamento rappresenta la nazione, e quando legifera, legifera per voce della nazione (non vi piace nazione? Facciamo popolo). E il Parlamento, questo Parlamento è stato votato ed eletto con libere elezioni, ed ha formato il governo secondo quanto stabilito dalla sempre-citata Costituzione.
Vedere, sentire, guardare, uno studente che dinnanzi ad una classe vuole paragonare una legge votata democraticamente da un parlamento, voluta da una forza politica regolarmente eletta e che in modo non sovversivo si è candidata per concorrere alla libera determinazione del bene pubblico, ad una legge voluta nel momento più obnubilato del ventennio fascista non vuol dire Libero pensiero, vuol dire mancanza di elementi di critica sufficienti a parlare di ciò di cui si sta parlando. Un docente non ha il compito di lasciar esprimere liberamente i suoi studenti, e punto. Un docente ha il compito di lasciar esprimere liberamente i suoi studenti per poi portarli a riflettere criticamente sulle implicazioni del loro pensiero. Ovvero, preoccuparsi della Forma!
Alla luce di tutto questo, mi voglio convincere che la situazione sia stata notevolmente travisata, e che il ruolo di colpevolezza della docente sia stato enfatizzato. Pertanto, me ne auguro la più celere reintegrazione nel ruolo di insegnante, e nella sua piena libertà di insegnare come la Costituzione prevede. Sottolineando che insegnare non è riunirsi in cerchio a dirci ognuno come la pensiamo. Quello si fa al campo estivo.