Stampella e moncherino

 

Stampella e moncherino

Arranco per la stradina, pochi portoni protetti dal verde, e sbuco su via Gallia con tre cassonetti dell’immondizia a linea di confine con la decadenza (lo sfacelo) dell’Urbe. Mi appoggio al bastone a tre punte, inesorabile segnale di come sono in difficoltà. E di come, senza far del vittimismo, s’è ridotta la qualità della mia vita. Un caffè con lo spruzzo di latte la panchetta sul marciapiede il mondo scorre io no. Aristotele scrive, vizio della citazione da modesto insegnante, come la malattia prima dell’uomo sia la vecchiaia. Non consola ma ti senti dotto… Del resto quarant’anni di insegnamento e qualche centinaio di libri negli scaffali avranno un senso (forse).                                           

Erano i primi anni Sessanta. La guerra d’Algeria aveva diviso la Francia pro o contro la sua indipendenza (vale la pena ricordare come fosse territorio metropolitano e non una colonia), De Gaulle dà speranza e promesse mancate, la rivolta d’Algeri dei generali e la creazione dell’OAS, il bel film di Pontecorvo (anni dopo), Franco Grazioli ex marò della Decima si arruola nella Legione Straniera (Algeria-Indocina-Algeri fra il mitra e le donne d’amare) pubblica Il Lupo va alla guerra (in questi mesi, Mursia). In quel clima tormentato e di furore, ove va a pezzi l’Europa cantata da Kipling come “il fardello dell’uomo bianco”, uno studentello magro e occhialuto saturo di illusioni di idee e voglia di misurare la (modestissima) sua forza si ritrova al Teatro Brancaccio tra attivisti fieri e spavaldi a contestare Jean-Paul Sartre.                                                             

Alla Giovane Italia rassicurati. Incontrerete intellettuali esangui e omosessuali (come lo stesso Sartre) qualche giovincello da primo banco vecchiette isteriche. Il filosofo è in Italia a favore del FLN algerino, chiacchiere, due schiaffi volantini fischi sberleffi e, poi, tutti a casa e Sartre rispedito a Parigi a calci in culo… ignari e superficiali come il PCI gli avesse fornito quale scorta i camalli di Genova con braccia pugni simili a dure palanche. Meglio fingere e andarsene mogi e dimessi. Tacere. Ehi, chi la racconta poi la favola d’essere noi gli eredi dello squadrista sul BL 18 con manganello “pugnal fra i denti le bombe a mano” a devastare case del popolo e sedi socialiste? Parte il primo e scatta la rissa. Ho a mente la foto di Adriano il sardo sommerso da assatanati che lo travolgono, ognuno a voler partecipare al linciaggio.                                                       

Si batte in ritirata. Aprirsi un varco, verso l’uscita.  Il Gatto si snoda il moncherino del braccio (assalto alle Botteghe Oscure camicia verde e bottiglie molotov, con ordigni in ogni mano una gli esplode all’atto di lanciarla) e l’usa come una clava. I compagni gli sono addosso lo stesso. ‘E’ un invalido!’, urla isterico un poliziotto in borghese. Ci approssimiamo alla porta, di corsa in strada. Irriverenti sudati con qualche livido ce la ridiamo sopra… E su questa panchetta con la stampella sorrido. Sbruffoni e forse inutili, ma comunque e nonostante tutto s’è vissuto.                              

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