L’Italia che non cambia

 

L’Italia che non cambia

Ho piacere di sentire le tante riforme che il governo a trazione leghista vuole fare in questa legislatura, magari siglando un nuovo contratto con i pentastellati.

Mi lascia però perplesso l’assoluta mancanza di riferimento a qualsiasi punto fermo di visione complessiva della politica, della vita, dell’uomo cui ancorare queste ipotetiche riforme.

Se non si ha questa visione generale cui fare riferimento; se non si dice a chiare lettere che il centro dell’organizzazione politica è l’essere umano, nella sua accezione più completa, e non solo il suo aspetto economico; se non si precisa che bisogna educare le nuove generazioni ai valori più profondi e sentiti dell’umanità e che i rapporti tra le persone vanno regolati su questi valori, relegando il mercato sul piano secondario dei rapporti economici e commerciali; insomma, se non si dice a chiare lettere che dobbiamo liberarci dal cancro del liberismo come unico regolatore dei rapporti sociali, non potremo mai avere un reale cambiamento della società in cui viviamo.

Si possono anche disegnare le più interessanti proposte e riforme, ma se la molla regolatrice è sempre l’utile economico, oggi ridotto a utile finanziario, non cambierà nulla.

La scommessa è più alta, più importante. Il valore di una persona è dato da ciò che esprime, non a parole, ma nei fatti. I più grandi uomini della storia dell’umanità sono ricordati non per le ricchezze che hanno accumulato ma per ciò che hanno lasciato ai posteri.

I nostri antenati, i Romani, quelli che ricordiamo come uomini e come donne, sono ricordati per la loro “virtus”, che non ha il significato un po’ bigotto della nostra virtù, ma ha in sé il senso profondo della forza d’animo, dello spirito, della virilità.

Significati che si stanno perdendo perché stiamo trasformando la società da animata, ovvero fornita di anima, a mercantile, ovvero priva di anima ma misurata solo dalla quantità di denaro che si possiede.

Tornare a scoprire il senso profondo del proprio essere, capire, nei limiti del possibile, la potenza che è insita in ognuno di noi, organizzare la società e quindi lo stato in modo di potenziare al massimo le prerogative di ognuno per consentire a tutti di beneficiare delle qualità degli altri, creare una comunità capace di elevarsi spiritualmente è l’unico modo per debellare in modo totale quel malessere e quell’insoddisfazione che è la causa prima dei mali della nostra società.

Dobbiamo tornare a parlare di uomo nuovo, di stile di vita, di dottrina politica, per uscire dal tipo di società aberrante in cui stiamo morendo e crearne una tutta nuova.

L’economia, la finanza, il mercato hanno senso solo se diventano strumento al servizio dell’uomo nella sua accezione più alta, cioè se servono a risolvere alcuni problemi elementari della vita ma lo scopo degli esseri umani è creativo e soprattutto di arricchimento continuo, non del proprio portafoglio, ma del proprio spirito.

In uno stato organico e ordinato il benessere interiore è di tutti.

Torna in alto