L’impero del “Paese eccezionale” prepara la prossima aggressione

 

L’impero del “Paese eccezionale” prepara la prossima aggressione

A proposito della politica estera e delle rinnovate tendenze aggressive e belliciste che la governance statunitense ha manifestato sotto la presidenza Trump, esistono varie interpretazioni. Gli analisti internazionali indipendenti parlano dell’inarrestabile decadenza del dominio americano e dei tentativi di ripristinare questo dominio con qualsiasi mezzo. In realtà questo non basta a spiegare la natura e l’ideologia che guida le azioni americane in questa fase storica.

In effetti, volendo andare più a fondo, risulta significativo l’ultimo discorso ufficiale fatto da Mike Pence, vicepresidente USA, parlando alla cerimonia della consegna del diploma ai cadetti di West Point.

Nel suo discorso il vicepresidente degli Stati Uniti ha annunciato che presto loro dovranno combattere “contro i terroristi in Afghanistan e in Iraq”, naturalmente, ma anche “contro la Corea del Nord, che continua a minacciare la pace”, “contro la Cina, che sfida la nostra presenza nella regione” e “contro la Russia, potenza aggressiva che cerca di ridefinire i confini con la forza”, come se questi paesi avessero qualcosa in comune con le organizzazioni terroriste che un tempo Washington sosteneva di voler combattere.

Pence, imbevuto della sua visione “messianica”, in rappresentanza di una vasta comunità di evangelici che credono nel primatismo americano, nell’insostituibile funzione di Israele, incluso lo sviluppo della “grande Israele”, ritiene che la “mission” degli USA sia quella di ristabilire il primato americano e sionista sul mondo con tutti i loro mezzi militari, incluse le armi nucleari.

I nemici dell’America in questo momento sono tanti e coalizzati fra loro per cui Pence avrebbe fatto bene a menzionare quale sia la nuova “Santa Alleanza” che gli USA hanno stretto con Israele e Arabia Saudita, illustrare i programmi di questa triade di potenze che vogliono cambiare il mondo, purificando quelli che considerano i paesi “impuri” come ad esempio l’Iran, la Siria, il Libano e l’Iraq sciita.

Resta inteso che gli Stati Uniti si arrogano anche il compito di dispensare una giustizia eccezionale che non pone limiti geografici alla propria giurisdizione esclusiva, mediante sanzioni e provvedimenti di sequestro di beni e persone che abbiano violato le leggi americane in qualsiasi parte del mondo.

Si tratta di una caratteristica propria degli Imperi. Questo spiega episodi come l’arresto della ceo della Società cinese Huawey e la sua detenzione in Canada, oppure l’estradizione di Julian Assange, un giornalista che aveva rivelato i crimini delle guerre anglo USA. Allo stesso modo si giustificano le sanzioni contro le società europee o di altri paesi che hanno violato l’embargo contro l’Iran, contro la Cina o le sanzioni contro la Russia. Sanzioni decise in violazione di qualsiasi legge internazionale.

Il tutto è accompagnato da una propaganda ossessiva e deviante per cui si fa apparire come “minaccia” tutto quello che non risulta conforme ai dettami dell’impero, dall’espansione economica cinese, all’importazione del gas dalla Russia in Europa.

La propaganda di Washington si basa sul controllo del grande apparato dei media, che fanno da megafono alle tesi americane. Persino, i giganti della comunicazione come Facebook e Google provvedono a censurare le pagine dei dissidenti.

La libertà di espressione in Occidente è strettamente delimitata nell’ambito del “Pensiero Unico”, atlantista e globalista, le idee difformi vengono facilmente oscurate.

Se nel passato gli USA e i loro vassalli si ammantavano della “difesa della democrazia e della libertà”, per fornire giustificazione alle loro guerre, oggi questo non è più necessario e si introduce il concetto di “minaccia per la sicurezza dell’Impero”. Così nel caso del Venezuela, dell’Iran e di altri paesi.

D’altra parte, i milioni di vittime causate dalle guerre USA e NATO hanno dimostrato quanto fossero macchiate dal sangue le mani degli “esportatori di democrazia”, come George Bush, Tony Blair, Obama e Donald Trump.

Lo scenario è sempre lo stesso: si inizia con la dichiarazione dei diritti umani e si finisce con i B 52.

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