Magistratura; c’è un giudice a Berlino?

 

Magistratura; c’è un giudice a Berlino?

In mezzo alle scandalose rivelazioni sul governo della cosiddetta “giustizia” in Italia, tra intercettazioni, lotte di potere, colpi bassi, incontri tra politici e magistrati per orientare scelte, innalzare o distruggere carriere, pilotare inchieste giudiziarie, con il contorno di cene, fine settimana forse pagati da imprenditori e qualche dettaglio pruriginoso, che idea se ne fa l’uomo della strada?

La prima osservazione è di natura generale; quando crolla un edificio, una nazione, una civiltà, tutto si sbriciola. Non ci sono più zone franche, neppure nella funzione giudiziaria, uno dei tre poteri dello Stato moderno. I fatti, ad oggi, parlano di membri del Consiglio Superiore della Magistratura, organo di rilevanza costituzionale e di esponenti politici del PD alleati per pilotare nomine ai vertici delle procure e allontanare colleghi sgraditi a esponenti di quel partito. Alcuni evocavano il nome dello stesso Capo dello Stato, presidente del CSM.

Che cosa può pensare l’uomo della strada? L’istinto di base è il terrore. Non solo la giustizia è una giostra complicata, ma dobbiamo avere paura di essere travolti dalle sue spire, indagare a nostra volta sulle opinioni politiche, religiose di chi ci accusa o giudica. Vengono i brividi. Al telefono di Luca Palamara, magistrato potente è stata applicata una spia per intercettare tutto, anche i sospiri. Sarà legale, ma fa venire i brividi.

Le intercettazioni non risparmiano nessuno e talora, per la contiguità tra alcuni inquirenti e settori di stampa, il fango schizza su chiunque. Intanto è evidente che il normale modus operandi della classe dirigente è la costituzione di gruppi e camarille.

Non ci nascondiamo dietro un dito. Le lotte di potere sono sempre esistite. Proprio per questo, in un ambito tanto delicato come la giustizia devono sussistere regole nette e forti tempre morali. Quando certi metodi sono applicati nel campo della giustizia, si resta sgomenti.

La democrazia liberale va orgogliosa della divisione dei poteri e dell’esistenza di organi di garanzia. I fatti parlano diversamente: il potere legislativo è ormai fagocitato dall’esecutivo, mentre istituzioni come la Corte Costituzionale sono lottizzati politicamente. La magistratura è divisa in correnti su base ideologica, veri e propri partiti organizzati. Nella debolezza della politica l’unico potere forte “istituzionale” in Italia è la magistratura.

Nell’assenza della politica, per pavidità e cattiva coscienza, la magistratura organizzata ha assunto un potere improprio, minaccioso. Troppo spesso gli inquirenti parlano ai media anziché attraverso atti giudiziari. A detta degli esperti, molte richieste di rinvio a giudizio e motivazioni di sentenze sono fumose, generiche, difficili da interpretare. Evidentemente, scelta e reclutamento degli uomini e delle donne in toga non funziona.

È essenziale separare la funzione giudicante da quella inquirente. L’accusatore, cioè il procuratore della repubblica, ha compiti di indagine, disponendo direttamente della polizia giudiziaria. Per questo è così urgente sistemare al posto giusto i propri amici.  A Roma innanzitutto, sede dei palazzi del potere politico, Milano per il rilievo economico e finanziario, Palermo capitale della criminalità organizzata e così via, compresa, nella vicenda presente, Firenze, per le indagini sulla famiglia Renzi.

Temiamo che l’obbligatorietà dell’azione penale, prevista dall’articolo 112 per il pubblico ministero, sia trascurata per alcuni e cercata con accanimento per altri. Come arriva la notitia criminis? Segnalazioni, denunce, soffiate più o meno anonime esistono da sempre. Ciò che turba è che si possa individuare, anche attraverso l’abuso di strumenti importanti come le intercettazioni, prima il reo e solo dopo il reato.

Che fare, dunque? Non lo sa nessuno, giacché di riforma della giustizia si parla da sempre e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Almeno, conserviamo la capacità di indignarci per certi comportamenti nella stessa misura in cui lo facciamo per i politici incapaci, per la corruzione diffusa e la malvivenza che ci circonda. Proprio perché la giurisdizione ha il compito di difenderci e fare giustizia, abbiamo il diritto di pretendere molto dagli uomini e dalle donne che ne fanno parte.  Poi, ci siano norme severe che impongano ai magistrati di parlare solo attraverso gli atti e il divieto di svolgere attività politica.

Nessun crimine, nessuna pena senza una legge chiara, inequivocabile, in grado di definire con certezza le condotte illegali. Di tale criticità non ha colpa la magistratura, ma la politica. Nulla cambierà se non muterà il clima generale di una nazione in crisi esistenziale, nella quale i centri di potere servono innanzitutto a chi riesce a farne parte, in genere dopo battaglie fatte di intrighi, amicizie, sgambetti.

La magistratura non fa eccezione, il suo prestigio è scosso, ma la debolezza della politica impedirà qualunque riforma. La crisi della magistratura non è che un elemento, il più doloroso per l’enorme importanza della funzione, di una crisi istituzionale, civile, morale della nazione diventata cancrena.

Capiamo poco di giustizia, nulla di diritto, ma sappiamo che dinanzi alla cancrena, c’è solo la chirurgia. In caso contrario, dovremo sperare che capiti, come al mugnaio tedesco in lotta con l’imperatore, di trovare un giudice a Berlino.

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