Salvini negli USA: strategia o servilismo?

 

Salvini negli USA: strategia o servilismo?

Salvini è volato negli USA, a Washington ha incontrato il segretario di stato Mike Pompeo e poi il vicepresidente Mike Pence, durante la diretta sono volate parole forti contro l’Unione Europea, Cina e Iran. «La flat tax si farà», «non è una scelta» e ancora «ci devono essere i margini». Il Ministro ha poi aggiunto «Noi passiamo dalle grandi strategie economico-commerciali e geopolitiche qua a Washington alle piccolezze delle “multine”, delle infrazioni, dei controllori imposti da Bruxelles. Abbiamo visto in Grecia come è finita. Hanno ammazzato un popolo e spalancato le porte ai cinesi che si sono comprati un paese attraverso un porto. L’Italia non è la Grecia.» La domanda a questo punto sorge spontanea, che cosa è andato a fare Salvini da Trump? Si tratta di strategia o del solito servilismo?

Per molti analisti quella di Salvini è stata la prova generale per una futura investitura da Premier, certamente c’è anche questo ma non solo. Negli USA Salvini è andato a cercare un alleato in termini di difesa politica e copertura economica, rispetto alla sua politica verso l’Unione Europea, che sempre di più sta assumendo le sembianze di una severa matrigna. Sta cercando quindi alleati importanti, poiché è banale dire che l’Italia attualmente non può certo affrontare da sola le tensioni con il Consiglio Europeo.

Più specificamente la probabile strategia di Salvini, che qua cerchiamo di interpretare e analizzare, è quella di sfruttare triangolarmente la conflittualità tra USA e UE, tentando di ottenere un più libero margine di azione politica ed economica di Bruxelles, spingendo sull’avvicinamento tra l’Italia e gli USA, con i quali -come già detto – egli tenta di trovare accordi politici ed economici che gli diano una maggiore legittimità politica, e che in un certo senso ci rendano “pericolosi” ai freddi occhi della tecnocrazia europea.

Strategia questa che tuttavia ci costa non poco in termini politici ed economici, ed è qui che Salvini si è dimostrato non un fine stratega, ma uno dei tanti servi di Lady U$A. In cambio di appoggio e coperture infatti, gli USA ci hanno chiesto di mantenere le distanze da Cina e Iran, e di condividere su tutta la linea l’agenda degli States. In politica non si ottiene niente per niente, ne siamo coscienti, e se questo ci permetterà in futuro di ristabilire una qualche minima sovranità oltre il giogo dell’Unione Europea, allora possiamo anche accettare e considerare razionali le scelte di Salvini. Quello che di certo non accettiamo, è il modo tutto ideologico, occidentalistico, da servo, con il quale il Ministro dell’Interno ha elargito dichiarazioni sull’Iran e sulla Cina, e con il quale si pone nei confronti, non dell’alleato, ma del padrone americano.

Con le sue dichiarazioni non contingenti sull’Iran e sulla Cina, Salvini dimostra ancora una volta di essere parte di quel finto sovranismo targato Bannon, imbevuto di islamofobia, occidentalismo, atlantismo ed espressione più vivida del rapporto di subalternità coloniale che ci lega agli USA da più di settanta anni. In un’ottica strategica non era certamente necessario porsi in totale rottura con la Cina e con l’Iran, come non era necessario fare certe dichiarazioni su Hezbollah durante la scorsa visita in Israele. Insomma, la tattica geopolitica è una cosa, il servilismo un’altra.

Ancora una volta è necessario ripetere che questo sovranismo, se mai vorrà diventare qualcosa di serio e strutturato, sarà bene che maturi consapevolmente al suo ruolo nell’attuale congiuntura internazionale. L’Italia appartiene al Mediterraneo e alla Patria europea, non certo alle lontane e terribili terre d’oltre oceano, nel tessere abili strategie politiche è sempre bene ricordarsi da dove si proviene, per così meglio capire dove si dovrebbe arrivare, e dove invece stiamo andando.

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