De Regimine Principum [18]: è necessario che il re abbia abbondanza di ricchezza
Le ricchezze artificiali, come l’oro, l’argento, altri metalli, e monete coniate con essi, sono necessarie al re per il sostegno del suo governo.
Infatti, supposto che per fondare un governo o uno stato sia necessaria per natura una collettività e quindi un re o un’autorità qualsiasi che governi la moltitudine, bisogna arrivare ad un’altra conclusione riguardo a una cosa connessa, cioè al tesoro, ossia all’oro, all’argento e al denaro con essi coniato, senza il quale il re non può esercitare opportunamente e adeguatamente il suo dominio; e questo si può dimostrare per vie molteplici.
La prima via è evidentemente in rapporto al re come tale. Infatti l’uomo usa l’oro, l’argento o la moneta come strumento per le compravendite. Perciò il Filosofo nel quinto libro dell’Etica dice che «la moneta è quasi il fideiussore delle future necessità perché contiene tutte le opere, come prezzo di esse»1. Se dunque di esso ha bisogno chiunque, molto di più ne ha bisogno il re: perché, se al semplice corrisponde il semplice, al maggiore corrisponde il maggiore.
Secondo, la virtù è proporzionata alla natura, e l’opera lo è alla virtù. Ora, la natura del potere regale, ha una certa universalità, in quanto interessa tutto il popolo soggetto: dunque ne sono universali anche la virtù e l’opera. Se dunque il potere di chi esercita il dominio per sua natura è di indole commutativa, lo sarà anche la virtù e l’operazione. Ma la commutazione non può avvenire senza la moneta, come il fabbro e il carpentiere non possono operare senza i loro strumenti.
Terzo, sempre sulla stessa linea: secondo il Filosofo, «la virtù della magnificenza ha per oggetto le grandi spese»2. Ma le grandi spese si addicono al magnanimo, quale dev’essere il re, come lo stesso Filosofo accenna nel medesimo luogo. Ecco perché nel libro (primo) di Ester sta scritto che Assuero, il quale in Oriente dominava su centoventisette province, in un banchetto che offrì ai prìncipi del suo regno faceva servire cibi e bevande come richiedeva la magnificenza di un re. Però questo non si può fare senza quello strumento della vita che è il denaro, ovvero l’oro o l’argento. Perciò arriviamo alla medesima conclusione di prima: ossia che il re come tale ha bisogno di un tesoro, composto di ricchezze artificiali.
La seconda via si desume in rapporto al popolo, sia in generale, sia in particolare. Un re deve avere abbondanza dì denaro per provvedere alle necessità della sua casa e dei propri sudditi; perché, come dice il Filosofo nel libro ottavo dell’Etica: «Il re deve comportarsi verso il popolo come il pastore verso le pecore e come il padre verso i figli»3.
Così si comportò il Faraone verso tutto l’Egitto, come è scritto nel Genesi.Comprò infatti con l’erario pubblico il frumento che poi fece distribuire, secondo la prudenza di Giuseppe, quando venne la carestia, perché il popolo non morisse di fame. Anche Sallustio riferisce nel Catilinario il pensiero di Catone su come la repubblica aveva giovato ai Romani: con la prosperità dell’erario pubblico che Roma aveva assicurato; e quando questo venne a mancare essa fu ridotta a nulla, come accadde proprio ai tempi di Catone.
Inoltre qualsiasi regno, città, castello, o comunità è simile al corpo umano, come lo stesso Filosofo insegna, e come si legge nel Policrato4. Per questo nello stesso passo l’erario comune del re viene paragonato allo stomaco, di modo che, come nello stomaco i cibi si raccolgono e vanno ad alimentare le membra, così pure anche l’erario del re deve riempirsi di un tesoro di denaro, che viene trasmesso e diffuso secondo le necessità dei sudditi e del regno.
Lo stesso si dica considerando le cose in particolare. Infatti è cosa turpe, e deroga molto alla riverenza regale dover mutuare dai propri sudditi per le spese del re o del regno. Per di più a causa di questa dipendenza dai mutui i signori sono costretti a permettere che si facciano nel regno delle indebite esazioni da parte dei sudditi, o di chiunque altro; e da questo viene uno snervamento debilitando così le condizioni del regno.
Si noti inoltre che spesso nei mutui il mutuante patisce scandalo, perché chi prende a prestito riesce difficilmente a restituire il mutuo. Di qui il detto attribuito a Biante, uno dei sette sapienti: «Quando un amico mutua da te denaro, perdi l’amico e il denaro»5. È dunque necessario che il re accumuli ricchezze artificiali, in rapporto al popolo, sia in generale, sia in particolare, per le ragioni suddette.
La terza via da seguire in questa dimostrazione procede partendo dalle cose o persone che sono fuori del dominio del re; Queste sono di due generi.
In primo luogo ci sono i nemici, contro i quali occorre che l’erario pubblico del re sia sempre pieno. Primo, per le spese della propria famiglia; secondo, per gli stipendi dei comandanti e dei soldati, quando muove l’esercito contro i nemici; terzo, per il restauro e la costruzione delle difese, affinché i nemici non passino i confini del suo regno.
In secondo luogo ci sono le cose destinate allo sviluppo del regno; e anche per questo al re è necessario un tesoro. Infatti talvolta accade che le regioni limitrofe siano gravate dalla miseria o dal peso dei debiti, o anche dai nemici; e allora esse ricorrono all’aiuto del regno e questo aiutandole con lo strumento di vita che è l’oro, o l’argento, o qualsiasi moneta, ne ottiene la sottomissione; e così il regno si accresce.
Da quanto abbiamo detto si deduce dunque che il re ha bisogno di ricchezze artificiali per la conservazione del suo governo, in forza dei tre motivi che abbiamo visto. Per questo anche in Giuditta sta scritto che Oloferne, principe di Nabucodonosor, quando invase le regioni della Siria e della Cilicia con un grande esercito, portò molto oro ed argento dalla casa del re, evidentemente preparato per la spedizione contro i suoi nemici.
La stessa cosa è scritta di Salomone nel libro prima citato (Ecclesiate II, 8): «Radunai oro ed argento, e sostanza di re e di province», chiamando qui sostanza i tesori di monete esatti come tributi da lui stesso e da suo padre Davide, come risulta dal secondo e dal terzo libro dei Re. E questo perché, secondo il Filosofo (Etica) i tesori sono strumento della vita umana, come si è detto sopra.
E questo non contraddice il comando dato da Dio nel Deuteronomio attraverso Mosè riguardo ai re e ai prìncipi del popolo; poiché in esso si comanda al re, di non ammassare immense riserve di oro e d’argento. La proibizione infatti si riferisce all’ostentazione, e al fasto regale, come racconta la storia di Creso, re dei Lidi: il quale per questa ragione andò incontro alla rovina, perché, catturato da Ciro re dei Persiani, fu affisso nudo al patibolo sopra un alto monte. Ma, per le ragioni che abbiamo detto, il denaro è assolutamente necessario per sostentare il regno.
1 Aristotele, Etica Nicomachea, V, 20.
2 Ibid., IV, 15.
3 Ibid., VIII, 10.
4 Non si comprende con esattezza a cosa si riferisce l’autore. Forse indica un’opera probabilmente perduta di Policrate, tiranno della città di Samo, in Grecia, dal 537 al 522 a.C.
5 Citato da Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, I, 87.