La scelta di Trump: guerra o l’America come una tigre di carta

 

La scelta di Trump: guerra o l’America come una tigre di carta

Il mondo segue con apprensione e sgomento l’accumulo delle tensioni nell’area del Golfo Persico e nel Medio Oriente. Le principali minacce sono quelle che partono da Washington contro l’Iran ed a queste si associano quelle profferite da Israele e dall’Arabia Saudita, i veri sponsor di una guerra all’Iran.

 Come avevamo ampiamente previsto già da tempo, in realtà non c’è una decisione dell’Amministrazione Trump di procedere ad una guerra ed infatti si è sgonfiata la minaccia di un’aggressione USA contro l’Iran dopo l’ultimo evento legato all’abbattimento del drone USA sullo spazio aereo iraniano.

Quello che ha bloccato Trump nel dare l’ordine di attacco è la valutazione delle catastrofiche conseguenze di un conflitto nel Golfo Persico in quanto, non soltanto si incendierebbe l’intera regione Medio Orientale, con il blocco dello stretto di Hormuz da parte iraniana, ma si produrrebbe anche una crisi economica mondiale con il prezzo del barile di petrolio che schizzerebbe oltre i 300 $.

Una crisi di questo genere metterebbe in gravi difficoltà gli Stati Uniti ed i loro alleati e porrebbe definitivamente fuori gioco la rielezione dei Trump nel 2020, quale responsabile di tale disastro.

Questo il vero motivo del contrordine che Trump ha dato all’attacco, al contrario della versione romanzata diffusa dalla Casa Bianca.

L’ordine di far abortire l’attacco non è dovuto a motivi “umanitari” (risparmiare 150 vittime), poco credibili da parte di Trump; piuttosto questo fatto mette in luce la situazione imbarazzante in cui gli Stati Uniti sono ficcati. La storia dell’attacco e del contrordine dato 10 minuti prima è un modo per togliersi dall’imbarazzo causato da una missione di spionaggio di alto profilo sull’Iran finita terribilmente male.

Il fatto che un attacco statunitense non sia accaduto dimostra che Washington ha compreso quanto il caso iraniano proponga una sfida ben più grande dell’Afghanistan e dell’Iraq.

La questione riguarda anche gli alleati degli Stati Uniti nella regione che hanno ricevuto un chiaro avvertimento da Teheran e da Beirut.

I droni spia e gli aerei da guerra USA che sorvolano il Golfo Persico provengono dagli Emirati Arabi Uniti (EAU), uno stretto alleato di USA e Arabia Saudita, paesi questi che sarebbero un obiettivo privilegiato di una rappresaglia missilistica da parte iraniana, come le dichiarazioni del segretario generale di Hezbollah hanno fatto chiaramente intendere: “La guerra all’Iran non resterà entro i confini di quel paese, ma significherà che l’intera regione sarà messa a fuoco. Tutte le forze e gli interessi americani nella regione saranno spazzati via, e con loro i cospiratori, prima fra tutti Israele e la famiglia saudita.”

Quindi tutta l’infrastruttura degli Emirati Arabi Uniti e le strutture per il petrolio e il gas sono obiettivi legittimi perché il territorio degli Emirati Arabi Uniti è il punto da cui le operazioni statunitensi vengono dirette.

Da questo si evince che all’interno dell’Amministrazione USA si sono susseguite profonde ed animate discussioni fra quanti volevano un’azione militare comunque (Bolton e Pompeo) e quelli che frenavano (il Pentagono).

L’operazione di bombardamento avrebbe dovuto riguardare alcuni siti iraniani legati al programma nucleare, probabilmente per quello scopo era stato lanciato il drone spia seguito dall’aereo Poseidon ma la difesa aerea iraniana, intelligentemente, ha colpito soltanto il drone risparmiando l’aereo con equipaggio.

A sconsigliare Trump per l’operazione di bombardamento sarebbe stato quindi il Pentagono. Infatti sarebbero stati “i funzionari militari ad avvertire la Casa Bianca che la sua campagna di massima pressione contro l’Iran avrebbe l’effetto di motivare gravi minacce agli interessi americani in Medio Oriente”.

Nonostante questo, la situazione è sull’orlo di un vulcano e le apparenti garanzie di Trump di non volere la guerra, contrastano con la serie di violenti incidenti che hanno coinvolto l’Iran.

Poco importa quello che Trump dice perché la miccia per la guerra è stata lanciata con la sua decisione di rescindere l’accordo internazionale sul nucleare e con la re-imposizione di sanzioni economiche.

Trump potrebbe non avere alcun controllo sulla reazione a catena che deriverebbe da azioni sconsiderate del Mossad e dei servizi di intelligence sauditi, con attacchi alle petroliere o contro le truppe USA in Iraq la cui responsabilità verrebbe gettata sull’Iran per creare il pretesto dell’attacco.

Di fatto Donald Trump si trova in una situazione molto delicata e di difficile soluzione dove il rischio di essere coinvolto comunque in una guerra disastrosa è molto concreto, mentre dall’altra parte esiste la probabilità di dover perdere la faccia e dimostrare ancora una volta che l’America, è come “una Tigre di Carta”.

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