Otto Rahn mi attende all’uscita del Kaufhof, la principale catena di magazzini della Germania (quella occidentale, va da sé, modello standard del consumismo a stelle e strisce), che a Francoforte sul Meno, con i suoi sette piani a vetrate, domina il centro della città (l’Hauptwache). Giornata invernale, metà anni ’60, con luminarie, sirene dai multicolori, che annunciano l’approssimarsi del Natale consumista. La stretta di mano è robusta e franca, come per un incontro a lungo atteso fra vecchi camerati, commilitoni di una sorte e di un medesimo fronte (mi tornano a mente i versi della canzone Camerata Richard, di quella guerra, imperitura, del sangue contro l’oro). Mi guarda diritto negli occhi, il sorriso aperto e sincero, levandosi il cappello a tesa larga in un saluto un po’ fuori moda, l’offerta di una birra in un locale poco distante.
Sotto il grembiule color carta da zucchero (da operaio a far pacchi ai clienti alla cassa numero 5) porto il maglione rosso con stilizzata in nero un’aquila, che una sartina di Carpegna mi ha ricamato in cambio di una pizza e una serata intrigante. Quando mi ha chiesto cosa significasse, credendo che mi burlassi di lei le ho risposto come fosse il simbolo dei cattivi dalla parte de buoni… In fondo c’era del vero o no? Otto Rahn si è fermato e, con tono discreto, s’è accertato che avesse un senso (quel senso) e mi ha invitato di bere una birra al termine dell’orario di servizio. Siamo i reduci, relitti di un’Europa ormai magma informe, siamo i militi dispersi della Legione perduta – e mi rammento dell’amico Cesare Mazza e dei suoi versi. Ci si riconosce a pelle.
Di Otto Rahn ho scritto in Strade d’Europa (anno 2006). È originario dei Sudeti ceduti alla Repubblica di Cecoslovacchia con il diktat di Versailles. Nel ’39 parte volontario e viene assegnato alla scuola di guerra a Cobur come cacciatore i carri (Panzerjaeger). Il 12 settembre del ’43, in appena dodici minuti, mette fuori combattimento dieci T34, i mastodontici carri armati sovietici, ottenendo così la Ritterkreuz. Mi mostra il ritaglio di giornale che conserva nel portafoglio quasi come reliquia. Ne va fiero e ne ha ben diritto. Fatto prigioniero, viene liberato nel 1949 e si trasferisce ad Ovest per non sottostare al regime comunista. Nostalgia della sua terra, ma nessun rimpianto per le scelte fatte come ha vissuto e per le idee il tempo all’ombra della bandiera del Terzo Reich… Come scrive Tolkien: “Le radici profonde non gelano mai” …
Sono questi uomini, questi incontri, le parole dette e quelle intese ogni singolo gesto i particolari del proprio vissuto che, simili a mosaico variegato, fanno crescere in te la consapevolezza della priorità dello stile. Poi la storia le idee i libri e il tuo stupido piccolo “ego”…