Cambiamenti climatici e femminicidio, sì; suicidio, no. Chi produce problemi sociali?
La nostra società ha un sacco di problemi reali. Altri li ha inventati o enfatizzati per campagne ideologiche o interessi economici. Alcune campagne mediatiche di grande impatto, alimentate dall’alto e purtroppo credute dalla massa per coazione a ripetere si trasformano in cause programmaticamente “giuste” fino a determinare grandi cambiamenti dell’opinione pubblica.
Due casi ci sembrano emblematici: l’allarme per il cambiamento climatico e la grancassa relativa alla cosiddetta “violenza di genere”, cioè l’assunto secondo cui milioni di donne subirebbero costante violenza dall’altro sesso, costituito da predatori inclini all’abuso seriale.
Questi problemi generano veri e propri allarmi sociali, determinano fratture profonde nella comunità, modificano il comportamento elettorale di molti, come dimostra il rinnovato successo, specie nel Nord Europa, dei partiti ambientalisti, una nuova generica pseudo sinistra creata dal grande capitale per i propri scopi di profonda ristrutturazione industriale. Altri fenomeni di grande disagio restano assenti dalle notizie gridate della TV. Pensiamo alle malattie mentali, alle dipendenze da droghe, alcool, gioco, sesso.
Tutto sommato, nella società spappolata e assopita, neppure gli omicidi causano grande preoccupazione. In Italia, per fortuna, il tasso relativo è tra i più bassi del mondo, circa 0,80 per centomila abitanti. C’è però un sottoinsieme che innesca un allarme esorbitante tra i media e nella percezione comune da essi costruita, quello degli assassinii di donne per mano di mariti, compagni o ex. Quarantasei eventi nel 2016, intorno al 12 per cento del totale degli omicidi, le cui vittime sono per il 70 per cento uomini. I media non solo dedicano enorme attenzione al fenomeno, per cui hanno inventato un vocabolo, femminicidio e per il quale invocano pene esemplari ed aggravanti “di genere”, ma tengono una dettagliata contabilità, tesa alla creazione di un’indignazione speciale. In nessun modo se ne può trascurare la gravità; sono tragedie terribili che distruggono vite, spezzano famiglie, ma se vi è tanta giusta indignazione per la perdita di vite per mano di un compagno rifiutato o tradito, perché gli omicidi di donne per altri moventi e le morti violente di uomini raggiungono una rilevanza mediatica tanto inferiore?
Molti propongono soluzioni a problemi concreti, ma non trovano l’attenzione dei media, tantomeno l’empatia del pubblico. E’ il potere a scegliere o addirittura costruire i problemi attorno ai quali orientare consenso, indicando le soluzioni gradite.
Esemplare è il caso dell’emergenza climatica, tema che suscita aspre polemiche tra gli specialisti, ma sul quale il sistema ha imposto la sua “narrazione” indiscutibile. Il riscaldamento globale è un dogma semi religioso, la sua causa scatenante è antropica, la soluzione è, guarda caso, la ristrutturazione industriale fatta pagare ai popoli e non ai vertici finanziari ed economici responsabili.
L’esempio del suicidio è illuminante. Secondo l’Istat, avvengono oltre 4 mila suicidi annui. Parliamo di almeno dieci casi al giorno. La risposta del carrozzone ideologico del potere? Nessuna.
Se la causa è gradita al sistema, verrà imposta all’attenzione del pubblico, precostituendone le reazioni; il successo della narrazione favorirà gli interessi più torbidi, determinerà una pioggia di aiuti e sussidi, nonché la nascita di nicchie di potere. Oggi i progetti di ricerca hanno maggiori probabilità di ottenere sovvenzioni, determinare folgoranti carriere, se fanno riferimento ai cambiamenti climatici, al contrasto al femminicidio o alla retorica filo omosessualista.
Se è complicato il successo di un’operazione mediatica, non meno difficile è mantenersi nel cono di luce di un’opinione pubblica affamata di novità continue. Con l’aiuto determinante del sistema mediatico occorre costruire capitoli sempre nuovi del “racconto, criminalizzare gli oppositori.
Nonostante abbia falciato più vite di qualsiasi altra causa violenta, la tragedia del suicidio non riesce ad imporsi come fatto mediatico a causa della difficoltà di costruire una storia con un gruppo di vittime compatto e un colpevole a cui puntare il dito.
Al contrario, gli omicidi di donne per mano dei loro mariti, o partner sentimentali, sono stati avvolti in una narrazione con tutti gli elementi che destano allarme. C’è una vittima universale, le donne intese come persona collettiva, uno o più carnefici, il maschilismo e potenzialmente gli uomini tutti.
Naturalmente, questo tipo di crimini esiste e va combattuto sin dalla prevenzione educativa, ma le soluzioni prospettate basate su presupposti ideologici, non risolvono i problemi, ma ne creano di nuovi, ammettendo la perniciosa convinzione, da trasferire nei codici penali, che una discussione di coppia vada trattata come un crimine e punita diversamente in base al sesso dei protagonisti.
Altrettanto, la chiave del successo delle teorie sul cambiamento climatico sta nella struttura narrativa diffusa dall’alto che attribuisce l’aumento della temperatura all’attività umana, escludendo le cause naturali. Costi, danni e pericoli sono identici in entrambi i casi, ma se l’origine fosse naturale, non ci sarebbe nessun cattivo da incolpare, nessuna ristrutturazione generale dell’economia e della società da mettere in conto ai popoli attraverso tasse, perdita di diritti, mutamenti di abitudini di vita.
Ciononostante, per restare ai primi posti dell’immaginario comune, la mitografia del cambiamento climatico ha dovuto costruire personaggi simbolo come Greta Thunberg. Il pubblico, dopo l’iniziale ondata emotiva, si annoia delle notizie sull’innalzamento del livello degli oceani, e si rende necessario forzare l’immaginazione attribuendo anche la fame e le migrazioni ai cambiamenti climatici.
La società umana soffre e continuerà a subire svariati problemi, alcuni drammatici, altri meno, alcuni inventati. Esistono cause giuste e altre che sono solo popolari, a insindacabile decisione dei livelli più alti dell’oligarchia. Deprivato del pensiero critico, sostituita la cultura con l’intrattenimento, il gioco del potere riesce sempre, addirittura non desta neppure più sospetti nella maggioranza narcotizzata