Apro il lucchetto della catena che protegge il motorino – un Ducati a tre marce sedile allungato cromato rosso e nero (scelta non casuale! “Innalzeremo al vento bandiere rosse e nere”, cantavano gli anarchici e nella RSI ne divenne il simbolo) – appoggiato ad un lampione. Nuovo fiammante. Tarda domenica, cielo terso di settembre, dalle parti di Prati. Ne vado fiero. Con i soldi della borsa di studio. In via Arenula, dietro il Ministero di Grazia e Giustizia, la rivendita. Una ressa di adolescenti a fare piroette e gli sbruffoni. Lo compro e non chiedo troppi dettagli per non fare la figura del “tonto” a venticinque anni di fronte a ragazzini tutto brufoli e impennate. Il manubrio, come la bicicletta, le marce e i freni (errore!), una leva vicino al pedale mi avrebbe dovuto allertare, no, troppe idee nessuna meccanica.
Il Lungotevere scorre dritto e poco affollato. Con gesto ampio e teatrale saluto gli amici. Si torna a casa per pranzo. Qualcuno mi trattiene. ‘Visto che passi vicino a San Pietro, dai un passaggio a questo ragazzo che abita in zona’. E’ un africano, esile e vestito con un completo azzurrino, camicia bianca e cravatta. La strana coppia, direi. Io capelli lunghi barba rada pantaloni di velluto vinaccia a coste maglione a trecce – chissà se non esprimevamo già e con anticipo quel rovescio dei ruoli che un’Europa, esangue e svilita, oggi subisce con la globalizzazione i barconi gli scafisti i litigi sulla spartizione. Con cinquanta anni a precorrere i tempi… Del resto già Drieu la Rochelle avvertiva che l’Europa sarebbe stata travolta dai quattro venti del declino.
“Tu, andare piano!”, come una litania, mi ripete con accento preoccupato. Spingo di più sull’acceleratore. Ebbrezza della velocità. Erede modesto dei futuristi. Mi viene voglia di rispondergli male. Sul genere della sua eredità di liana in liana. Non sono razzista e non vorrei che equivocasse… Così mi giro di continuo per rasserenarlo e, qui, il buonismo non s’avvede che la strada si restringe l’asfalto si trasforma in san-pietrino il semaforo di fronte Castel Sant’Angelo impone il rosso e una 500 alla cui guida sta una ragazza bruttina e tre nonnine d’accompagno frena. Anch’io freno, spingendo sul manubrio (freno d’avanti) mentre quello di dietro sta in quella leva da me ignorata. Mi impenno volo ricado sul tettuccio della 500 scivolo. Integro. Intanto il negretto rapido tende a dileguarsi. “Io essere arrivato!” mi urla senza voltarsi e con il fondo dei pantaloni grigio…
Pochi mesi dopo il sequestro per accertamenti mentre misuro i tre metri per due della cella d’isolamento. Memore, a cinquanta anni di distanza, mi rassegno all’inutile vocio bianchi neri ONG e dell’Europa la miseria di un continente ormai alla deriva…