Un libro per l’estate: Il giro del mondo in 80 giorni
Tempo d’estate, tempo di lettura anche per chi, nel resto dell’anno, non riesce a sfogliare che poche pagine in mezzo alla corsa della vita. Chi scrive predilige i cosiddetti “mattoni”.
Per rispetto del lettore normale, colto ma interessato anche a un sano relax, ho organizzato un torneo mentale tra libri adatti alla lettura, o rilettura estiva. Vince per distacco il celeberrimo Giro del mondo in ottanta giorni di Jules Verne. Vari i motivi: si tratta di una lettura piacevole, adatta al periodo feriale, amena e coronata dal lieto fine. Altre ragioni sono più serie. Verne fu il fondatore di un genere letterario nuovo della seconda metà del secolo XIX, il romanzo d’avventure ispirato al progresso scientifico. Inventore di personaggi divenuti universali, come il capitano Nemo di Ventimila Leghe sotto i mari, fu anticipatore di suggestioni fantascientifiche nel Viaggio al centro della terra e in Dalla Terra alla luna.
L’altra ragione per cui consigliamo il Giro del Mondo in 80 giorni è che la storia dell’eccentrico gentiluomo londinese Phileas Fogg e della sua ardita scommessa con i consoci del Reform Club non avrebbe potuto rappresentare meglio un’epoca, una sensibilità, che, dal 1873, anno della pubblicazione, è mutata in modo travolgente. Il viaggio di Fogg, ricorda Eugenio Capozzi nel suo imperdibile Politicamente corretto (Marsilio, 2019) “non è altro se non la plastica rappresentazione dell’ormai acquisito dominio della cultura, della scienza e della tecnica europei su ogni cultura. “. Oggi non potrebbe essere scritto un libro. Verne fu l’interprete dello spirito europeo e occidentale sorto dal positivismo e dall’ottimismo scientifico: la fiducia ingenua ma sicura nella “compatibilità tra popoli, usanze, religioni, nel segno di un’organizzazione razionale della società, degli scambi economici e commerciali, della democrazia, e in definitiva della libertà individuale” (ibidem). Nessuno metterebbe più nero su bianco una dichiarazione tanto netta sulla superiorità della civiltà europea.
Verne fa attraversare a Phileas Fogg e al suo poliedrico maggiordomo, il francese Passepartout, il mondo intero con i mezzi di trasporto più vari. Piroscafi di linea veloci, campioni della nuova navigazione a vapore, treni che sfidano audaci la giungla indiana e le immense distanze nordamericane in una corsa che entusiasmava gli uomini dell’epoca, ma anche elefanti, vagoni merci e navi da carico.
Phileas Fogg è descritto come uomo freddo e privo di emozioni, eppure non esita a mettere in pericolo il viaggio e il suo stesso patrimonio per salvare la vedova indiana Auda, destinata a essere bruciata sulla pira del marito defunto. È la generosità non di un singolo, ma di una civiltà che si sente superiore e non può ammettere condotte estranee al suo orizzonte culturale. Auda infine sposerà l’ex arido uomo d’affari.
Nel libro si respira l’aria dell’epoca persino nel personaggio del poliziotto Fix che segue testardo Fogg, convinto che sia il rapinatore della Banca d’Inghilterra, ma soprattutto rivive un’epoca in cui era convinzione generale che il progresso tecnico avrebbe prodigato all’umanità solo vantaggi, se saggiamente indirizzato da buoni governanti, animati dallo spirito della civiltà europea vincente, innestata ovunque sul tronco delle culture locali. Rudyard Kipling lo avrebbe definito nel 1889 il fardello dell’uomo bianco. A distanza di poco più di un secolo, l’uomo bianco sta diventando un reperto archeologico.
Verne, il cui fascino attraversa confini ed epoche, viene talora indicato come un semplificatore ingenuo di severi argomenti scientifici. La sua seduzione è più complessa; cela dietro le molteplici avvincenti avventure un freddo pessimismo, una profonda sfiducia nell’uomo che si crede imbattibile conquistatore attraverso scienza e tecnica. Ne sono prova la sensazione di straniamento del ritorno a Londra di Fogg, apparentemente in ritardo, prima del colpo di scena finale legato all’astronomia, la direzione del viaggio verso est che ha fatto guadagnare un giorno. Vince la scienza, dunque, ma il fascino segreto della narrazione sta nel divario tutt’altro che pacifico tra realtà e fantasia.
Temi importanti, seri, ma affrontati con leggerezza e talento narrativo. Il lettore rimane immediatamente coinvolto e anche se conosce la trama e la conclusione è avvinto in un crescendo di emozioni che restano per sempre nel cuore come i personaggi di Fogg e Passepartout.
All’autore di queste note il Giro del mondo in 80 giorni ha regalato il gusto della fantasia e la nascita di due passioni mai abbandonate, una per la geografia e l’altra per lo studio dei popoli del mondo. Scoprii molti anni dopo la lettura adolescenziale che si tratta dell’antropologia culturale, ma nome e dottrina non contano nulla. Vale il fascino, l’amore dell’avventura che Jules Verne ha trasmesso a milioni di persone con immutato successo.