Scuola di Pensiero Forte [61]: la Persona come essere umano

 

Scuola di Pensiero Forte [61]: la Persona come essere umano

Si definisce la persona come un ente autocosciente, razionale, capace di attività morale, dotato di autonomia, e si trascura il particolare che gli esseri umani non sono soltanto questo, e che, anzi, uno dei caratteri dell’essere umano è quello di essere corporeo, di essere diveniente.

I doveri delle persone si esercitano anche nei confronti di coloro che sono persone ma non vivono come tali, cioè non esercitano le loro facoltà personali. La questione, studiata nella bioetica, sorge proprio perché ci sono casi in cui delle persone umane (come per esempio gli esseri umani allo stato embrionale, fetale o infantile, i malati cronici o mentali, i malati terminali, le persone in stato vegetativo persistente), non possono vivere come persone senza l’aiuto di altre persone.

Il fatto che esistano persone attualmente in grado di poter e dover decidere per gli altri che non possono farlo, dipende dal fatto che altre persone abbiano permesso a costoro di giungere alla fase in cui esercitare pienamente, ma pur sempre temporalmente, questo loro potere.

La reciprocità non è costitutiva soltanto della moralità ma della stessa possibilità dell’esistenza personale. Questa reciprocità è la fonte e il luogo cui ricondurre ogni discussione in merito all’etica della vita.

Circoscrivere il rispetto e il diritto alla vita soltanto alle fasi dell’esercizio della vita morale significa scordare che la moralità si esplica a cicli intermittenti, in un arco temporale che non è infinito.

L’essere umano è strutturalmente una persona: questa condizione non dipende dalla sua volontà ma dalla sua origine.

Per passare, nella trattazione, dal corpo umano alla persona umana, occorre assumere con radicalità la questione della corporeità umana.

Perché corpi deformi, corpi percepibili solo al microscopio come nel caso dello stadio embrionale, corpi inerti e privi di palesi segni di coscienza, sono esseri umani? Persone? Su che cosa basare l’uguaglianza antropologica, quella che collega il sano e il malato, il deforme e il normale?

L’argomento, povero forse ma decisivo, per stabilire chi è uomo e chi non lo è, è quello di guardare all’origine: essere umano è colui che nasce da altri esseri umani. “Uomo è comunque e sempre colui che nasce da altri uomini e donne e questa è la condizione per procedere a qualsiasi ulteriore e più approfondita definizione dell’uomo.”[1]

Bisogna poi considerare persona umana chiunque sia generato da altre persone umane, direttamente o grazie al loro patrimonio genetico. È quindi centrale il corpo umano. Nessuna tutela dell’io, della sua dignità e integrità può avvenire se non si tutela e rispetta anche la concreta corporeità altrui.

Scriveva a tale proposito il filosofo Robert Spaemann: “Può e deve aversi un unico criterio per la personalità: l’appartenenza biologica al genere umano. Per questo anche l’inizio e la fine dell’esistenza della persona non possono essere separati dall’inizio e dalla fine della vita umana. Se “qualcuno” esiste, egli è esistito da quando esiste questo organismo umano individuale, ed egli esisterà fino a che questo organismo vive. L’essere della persona è la vita di un uomo.[2]

 

[1] Adriano Pessina, Discorso tenuto al Convegno di Bioetica di Milano del 1996.

[2] Robert Spaemann, Persone. Sulla differenza tra «qualcosa» e «qualcuno», a cura di L. Allodi, Biblioteca Universale Laterza, 2005.

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