De Regimine Principum [25]: si dimostra per natura che ogni potere viene da Dio
Dice il libro dei Proverbi: «II cuore del re è nelle mani di Dio; a tutto ciò che vuole, Egli lo piega».
Questo lo confessa anche il famoso grande monarca d’Oriente, Ciro, Re dei Persiani, con un editto pubblico. Dopo aver sconfitto Babilonia, che aveva raso al suolo, come narra la storia, disse queste parole, come risulta all’inizio del Libro di Esdra: «Così dice Ciro Re dei Persiani: – Il Signore, l’Iddio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra». Da ciò risulta evidente che ogni dominio proviene da Dio come dal primo signore: cosa che si può dimostrare, come accenna Aristotele, mediante tre vie, cioè considerandolo in quanto ente, in quanto motore, in quanto fine.
Sotto l’aspetto di ente: perché tutti i singoli enti si devono ricondurre al primo ente, come a principio di ogni ente, come ogni calore si deve ricondurre al calore del fuoco, secondo le spiegazioni di Aristotele nel secondo libro della Metafisica. Dunque, per la stessa ragione per cui ogni ente dipende dal primo ente, dipenderà da lui anche il dominio; poiché esso si fonda sull’ente; e su un ente tanto più nobile, quanto, per dominare sugli uomini di natura uguali, un uomo viene anteposto ad essi. Ma da questo uno non deve trarre motivo di insuperbire, bensì di governare con umanità il suo popolo, come dice Seneca in una lettera a Lucilio. Ecco perché nell’Ecclesiastico sta scritto: «Ti hanno fatto capo? Non mettere superbia: sii tra loro come uno di essi». Perciò, come ogni ente dipende dal primo ente, che è la causa prima, così anche ogni dominio della creatura dipende da Dio come da primo dominante e primo ente.
Di più: ogni pluralità procede dall’uno, e si misura con l’unità, come insegna il decimo libro della Filosofia Prima di Aristotele; dunque allo stesso modo anche la pluralità dei dominanti trae origine da un unico dominante, che è Dio. Precisamente come nella corte regale alle varie mansioni troviamo i rispettivi soprintendenti, ma tutti dipendono da uno solo, cioè dal re. Perciò Aristotele nel libro dodicesimo della Filosofia Prima dice che «Dio, cioè la causa prima, sta all’intero universo come il comandante, dal quale dipende tutta la molteplicità degli accampamenti, sta all’esercito». Perciò anche Mosè nell’Esodo chiama Dio condottiero del popolo: «Nella tua misericordia – dice – ti sei fatto condottiero del popolo che tu hai liberato». Dunque ogni dominio trae origine da Dio.
Ancora, sullo stesso argomento: la virtù è proporzionata all’ente al quale appartiene e gli è adeguata; poiché la virtù scaturisce dall’essenza della cosa, come risulta chiaramente dal I e II libro de Il cielo di Aristotele. Dunque, come l’ente creato sta all’increato, che è Dio; così la virtù di ciascun ente creato sta alla virtù increata, anch’essa Dio, perché tutto ciò che è in Dio è Dio. Ma ogni ente creato trae origine dall’ente increato. Quindi la virtù creata trae origine da quella increata. Questo fatto poi è presupposto nel dominio, poiché non c’è dominio quando non ci sia potenza, o virtù; dunque ogni dominio deriverà dalla virtù increata, e questa è Dio, come abbiamo già detto.
Così si ha la medesima conclusione di prima. Ecco perché San Paolo afferma (agli Ebrei), che Dio «sostiene ogni cosa con la potenza della sua parola». E nell’Ecclesiastico si legge: «Uno solo è l’altissimo, il creatore onnipotente, il re potente e terribile oltremodo, che siede sul suo trono. Iddio dominatore». Da queste affermazioni appare chiaramente chi sia colui da chi ogni creatura riceva l’essere, la virtù e l’operazione, e per conseguenza il dominio; e in misura molto maggiore il re, come già abbiamo dimostrato.
Ma che il dominio provenga da Dio non si dimostra soltanto partendo dall’ente, ma anche partendo dal moto. E prima di tutto si deve assumere l’argomentazione di Aristotele nell’ottavo libro della Fisica: «Si parte cioè dal fatto che tutto ciò che si muove, viene mosso da altri. E d’altra parte nella serie dei moventi e dei soggetti mossi non si può andare all’infinito. Perciò si deve giungere ad un primo motore immobile che è Dio, ossia alla causa prima»[1]. Ora fra tutti gli uomini quelli che partecipano maggiormente del moto sono i re e i prìncipi e tutti coloro che stanno a capo, sia nel governare, sia nel giudicare, sia nel difendere, e in tutte le altre funzioni pertinenti alla cura del governo. Perciò Seneca nel suo opuscolo De Consolatione, indirizzato a Polibio, per esortarlo a disprezzare il mondo, così parla di Cesare: «Quando vorrai dimenticare tutto pensa a Cesare. Osserva quanta sicurezza tu debba alla bontà della sua vita, e quanta cura; comprenderai che a te non è dato piegarti più che a lui. Se nei miti si parla di qualcuno sulle cui spalle poggia il mondo, questo possiamo dirlo anche di Cesare, a cui tutto è lecito; e per lo stesso motivo molte cose non gli sono lecite: La sua vigilanza difende le cose di tutti, la sua fatica il riposo di tutti, la sua attività i piaceri di tutti. Per il fatto che Cesare si è dedicato a tutto il mondo, si è sottratto a se stesso; come gli astri che, mai fermi, seguono sempre il loro corso, e non possono mai fermarsi ne fare qualcosa di loro proprio»[2].
Se dunque ai re e agli altri signori va attribuito tanto moto, è chiaro che non possono compierlo se non mediante l’influsso e la virtù del primo motore, cioè di Dio, come abbiamo provato prima. Perciò nel libro della Sapienza, dove sono enumerati gli effetti della virtù divina per mezzo della sua sapienza, l’autore, volendo mostrare come tutte le cose partecipino l’influsso del moto divino, subito aggiunge: «Di tutto ciò che si muove è più mobile la sapienza, e arriva dappertutto a cagione della sua purezza». E chiama «purezza» l’assoluta, superiore e pura virtù con cui Dio muove ogni cosa a somiglianza della luce materiale che, sotto questo aspetto, imita la luce divina.
Secondo, ogni causa primaria influisce sull’effetto più di una causa secondaria. Ora la causa prima è Dio. Dunque se tutte le cose si muovono in virtù della prima causa, e tutte ricevono l’influsso del primo moto, anche il moto di coloro che governano deriverà dalla virtù di Dio e dalla mozione divina.
Terzo, se c’è una subordinazione nei moti corporali, ancora di più ci sarà in quelli spirituali. Così vediamo nei corpi, che gli inferiori sono mossi dai superiori, e tutti si riconducono al moto di quello supremo, che è la nona sfera, secondo Tolomeo (Almagesto, 1), ovvero l’ottava secondo Aristotele (Il cielo, 2). Dunque, se tutti i moti dei corpi sono regolati dal primo, e dal primo ricevono influsso, molto di più questo avverrà per le sostanze spirituali per la maggiore somiglianza che hanno tra loro. Perciò esse sono più adatte a ricevere l’influsso del primo e supremo motore che è Dio. Di questo moto tratta San Dionigi nei libri I nomi divini e La gerarchia celeste, distinguendo i moti delle sostanze spirituali come quelli nei corpi, in moto circolare, retto e obliquo. Questi moti poi consistono in particolari illuminazioni che ricevono dalle sostanze superiori, per agire, come spiega il medesimo Dottore; e per ricevere queste illuminazioni è necessaria la disposizione della mente su cui si esplica quest’influsso motore. Ora, fra tutti gli uomini che devono essere maggiormente disposti, vi sono i re, i prìncipi e gli altri dominatori del mondo, sia per la funzione che hanno, sia per tutte le universali funzioni di governo, per le quali la mente deve maggiormente elevarsi alle cose divine, sia perché ad essi incombe il dovere di disporre se stessi al governo del gregge, in modo tale da sentire efficacemente il moto impresso da Dio sui loro atti di governo, che sono ad essi superiori e che eccedono la natura particolare.
Così infatti si dispose il Re David; e per questo, a causa del moto della divina illuminazione suddetta, meritò nei suoi Salmi uno spirito profetico superiore a quello di tutti i re e i profeti, come dicono i conoscitori della Sacra Scrittura. E, per un’azione contraria a questa, i prìncipi pagani, di cui parla il profeta Daniele, quali Nabucodonosor e Baldassarre, padre e figlio, meritarono di essere ottenebrati. Cosicché l’influsso dell’illuminazione divina mosse la loro fantasia a visioni immaginative, come risulta dal Libro di Daniele, affinché sapessero che cosa dovevano fare nel governo del regno; ma poiché la loro mente non era disposta, bensì avvolta nelle tenebre, non furono in grado di comprenderle. Ecco perché a Daniele, dotato di lume profetico, fu detto: «Ti fu dato lo spirito d’intelletto per interpretare queste cose»; affinchè si constatasse quello che Salomone dice nei Proverbi: «Mio è il consiglio e l’equità, mia la prudenza, mia la fortezza. Per me regnano i re e i legislatori decretano il giusto, per me i prìncipi dominano e i magistrati regolano la giustizia». Rimane quindi dimostrato, a partire dal moto, che ogni potere viene da Dio.
[1] Aristotele, Fisica, libro VIII, 258b.
[2] Seneca, Consolatio ad Polybium, 7.1.