Cantami, o diva, del nero Achille l’ira funesta…
Mille nuove verità avanzano e non osiamo accoglierle con una risata e giudicarle per ciò che sono, lucide follie di un potere distopico. Pare che essere onnivori, in quanto appartenenti alla specie umana, non sia più cosa buona e normale, poiché cagionerebbe danno al pianeta. Dicono gli “esperti” che la dieta carnivora contribuisce al riscaldamento globale. Non c’è quindi da stupirsi se nel prossimo futuro la carne sarà gravata da elevate imposte e si promuoverà la salutare abitudine di cibarsi di grilli.
Che sarebbe di noi senza il conforto morale di imprese ipercapitaliste come le reti di intrattenimento, sovversive o indifferenti dinanzi ai veri problemi, ma con una speciale sensibilità per le corbellerie.
L’agenzia incaricata di stabilire gli standard da osservare nella pubblicità tra i sudditi di Sua Maestà ha deciso di proibire tre campagne pubblicitarie, due di una marca di formaggi e l’altro di una casa automobilistica. Il motivo? Diffondevano, secondo i neo- censori, “stereotipi di genere”. In uno, appariva una donna che si prendeva cura del figlio, gesto davvero terribile e inaudito; nell’altro, si rappresentava un padre arrabbiato con il figlio, il che configura il crimine di lesa umanità.
La venerabile, reale istituzione si è appoggiata su una nuova normativa delle isole britanniche, tesa a impedire che i messaggi commerciali trasmettano alla popolazione un’idea “eteropatriracale “della società. Se siete pubblicitari, evitate di mostrare donne nell’atto di parcheggiare (chissà perché), di mettere il rossetto o che indossano la minigonna e, orrore, non pensate neppure per un attimo all’immagine di un padre che porta il bambino alla partita. Questo potrebbe far pensare ai telespettatori, il gregge stupido da ricondizionare, che uomini e donne si comportino come fanno abitualmente da mille generazioni.
Netflix include nella programmazione una robusta razione di produzioni destinate a deliziare il buonismo credulone. Ha diffuso uno sceneggiato sulla guerra di Troia, evento fondante della civiltà occidentale, che è una pietra miliare nella religione del politicamente corretto. Chiunque si aspetta di vedere il prode Achille rappresentato come era, un giovane di fattezze europee mediterranee dai lunghi capelli ricci. No, l’attore prescelto è nero, anzi, afroamericano, come è più à la page dire. Cantami, o diva, del nero Achille l’ira funesta, scriverebbe oggi Vincenzo Monti nel primo verso della celeberrima traduzione dell’Iliade. Non resta che ironizzare, nella speranza che qualcuno apra gli occhi.
Del pari, non bisogna lasciarsi fuorviare da errate convinzioni del passato oscuro che potrebbero trascinarci verso il suprematismo, l’etnocentrismo o l’umanesimo. Anche gli animali possiedono elevate capacità cognitive oltre a uno spiccato senso di giustizia. In un’altra produzione dello stesso network si narra di un’elefantessa (femmina, è meglio!) che lavorava in un circo ma un giorno impazzì e ammazzò i suoi custodi umani. La vicenda capitò perché il pachiderma (parola indeclinabile al maschile o femminile) si sentiva oppresso e voleva liberarsi del giogo. Conclusione animalista: la domesticazione all’uomo, segno della superiorità intellettuale ed ontologica della nostra specie, è una pessima cosa. Non difendiamo affatto il maltrattamento inflitto agli animali, anzi, ma la drammatizzazione di cui è impregnata la storia propinata come un pastone alla mensa televisiva è tanto patetico da sembrare una parodia.
Il gregge giornalistico applaude, perché sarebbe davvero da intolleranti chiedere che i documentari storici rispondano a un certo rigore, persino se ciò implicasse derogare le quote di genere o quelle etno razziali (ma non avevano assicurato che le razze non esistono?). E’ un segno dei tempi, uno dei tanti, che si applauda il palinsesto dei padroni dell’intrattenimento e dell’informazione, tollerando manipolazioni e menzogne.
Invitiamo il telespettatore a guardare la televisione con attenzione critica giusto per qualche ora, poi spenga disgustato. Scoprirà un bel po’ di cose. La pubblicità onnipervasiva e sempre più sovrapposta alla normale programmazione, ha un audio più alto per compensare il calo di attenzione, ma soprattutto è difficile che non contenga un’altra propaganda: quella della società multietnica e multiculturale. Raro che tra i figuranti non ci sia almeno un mulatto/a, sempre con funzione positiva. Le famiglie non vengono quasi più rappresentate, se non nella forma “arcobaleno” e allargata. L’aborrito modello Mulino Bianco è battuto, i comportamenti più trasgressivi (se il termine ha ancora un senso) sono presentati come normali. Chi segue tormentoni come Un posto al sole, ambientato a Napoli, e persino i gialli del borghesissimo ispettore Barnaby osserverà la normalizzazione di tutto, adulterio, droga, omosessualità, e l’aperta ridicolizzazione di condotte o sentimenti “tradizionali”.
Achille è nero o mulatto perché deve passare l’immagine dell’identico come obiettivo finale e l’operazione riesce se il personaggio è o viene rappresentato come eroe positivo. Per la mentalità dominante, Achille è un eroe perché vincente, a nulla contando la sua invulnerabilità e il favore degli dei.
Per tornaconto, il totalitarismo neocapitalista privato ha assunto la forma iper libertaria e finto democratica, un imperialismo teso a ricondurre la diversità delle società a una foggia uniforme e, in superficie, egualitaria. Il dispotismo che ci avvolge ci fa credere che Achille era nero, la maternità una costruzione sociale, la famiglia un luogo di oppressione e, al contrario, convince che il consumo e lo scambio di merci sia il fine dell’esistenza.
Il governo, ovvero lo Stato, la dimensione pubblica, è stata sostituita da un possente apparato tecnoindustriale, culturale e di intrattenimento in mani private. Achille è nero, Ettore non conta in quanto perdente. Lo hanno deciso loro.