Scuola di Pensiero Forte [66]: il libero arbitrio e la ragione che mi rende umano
Di fondamentale importanza, prima ancora di interrogarci sulla scelta, che è l’azione che per eccellenza incarna la libertà, è interrogarci su cosa sia la libertà di scelta: il libero arbitrio. Il primo passo da compiere, e doveroso da fare, è quello di interrogarci se tale facoltà sia realmente presente nell’essere umano.
È proprio di questo che si occupa san Tommaso nell’ottantatreesima questione della prima parte della Somma Teologica: «Se l’uomo possieda il libero arbitrio»[1].
Oggi, grazie soprattutto agli studi condotti nell’ambito della filosofia antropologica, notiamo che la distinzione degli esseri si sviluppa in tre principali “gradi dell’esistenza”: minerale e vegetale, animale, umano.[2] Ora san Tommaso nel rispondere alle varie obiezioni che gli vengono mosse riguardo la questione in esame, si riferisce ad ognuno di essi e li analizza per dimostrare la presenza di questa facoltà all’interno dell’essere umano.
Riguardo i primi due, ovvero i gradi della vita minerale e vegetale e animale, l’Aquinate porta gli esempi rispettivamente della pietra che cade verso il basso, senza che in questo movimento sia implicata alcuna volontà della pietra, e degli «animali bruti»[3] che «agiscono con un certo giudizio, che però non è libero»[4]. Tralasciando il primo, nel quale è evidente l’assenza di qualsiasi forma di libertà, analizziamo le azioni del secondo, ossia del grado animale: in esso vediamo che il giudizio di una situazione e dell’azione che da essa consegue proviene da un discernimento dettato non da una libertà interna all’animale, ma da un «discernimento naturale»[5]. «La pecora, al vedere il lupo, giudica, con discernimento naturale e non libero, che sia necessario fuggirlo: poiché tale giudizio non proviene da un confronto [di vari oggetti], ma da un istinto naturale»[6]. Ecco dunque che così viene introdotto il terzo grado di esistenza: l’essere umano. In quest’ultimo notiamo che i giudizi vengono sì influenzati dalle circostanze naturali, ovvero da quello stesso discernimento naturale degli animali, ma l’uomo quale «animale razionale» non è ad esso vincolato.
Nell’uomo notiamo qualcosa che trascende il solo istinto, quel qualcosa che lo porta ad essere «ragionevole»[7]. «Mediante la facoltà conoscitiva, [l’uomo] giudica se una cosa si deve fuggire o seguire»[8]. Vedremo successivamente che è proprio mediante la facoltà conoscitiva che l’uomo può eleggere qualcosa rispetto ad altro, che può scegliere uno tra una molteplicità di possibilità, quell’uno che sembrerebbe il mezzo più adeguato al raggiungimento del bene ultimo: la felicità.
Il bene viene designato in questo articolo proprio con l’assenza di desiderio «contro la ragione»[9], e ciò è possibile solo in virtù di quella possibilità che ha l’uomo di far deviare le proprie azioni dai soli dettami dell’istinto. Se infatti nell’uomo l’istinto non si trovasse affiancato alla ragione, ciò costituirebbe in esso la totale privazione di qualsiasi forma di libertà.
[1] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.1
[2] Cfr. R. Lucas Lucas, Spiegami la persona, 10
[3] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.1, Co.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] Ibid.
[9] San Tommaso, Summa Theologiae, I, q.83, a.1, Ad.1