Il loto Tor Marancia

 

Il loto Tor Marancia

“Noi saremo” ci sorge spontaneo al cuore guardando quel volto inquieto d’una ragazza di Borgo Pio sfrattata nella Shanghai romana, Tor Marancia; erano gli anni ’30, quelli del consenso, del restyling piacentiniano di Roma, sventramenti, nuovi assetti, bonifiche di baraccopoli, borgate rurali in periferia ove allocare i senza tetto. Il giovane street artist della terra del canguro G. Van Halten ha colorato le paure di un’adolescente nell’affrontare il balzo nel buio dal seno di Roma all’agro desolante della sua città. Oggi pare il manifesto dell’Italia in balia degli oligarchi del castello, sceriffi, magistrati, preti, politicanti alchimisti del potere ai quali è bene recitare i versi di Robert Brasillach in Il mio Paese mi fa male: “[…] Il mio Paese mi fa male in questi empi anni/per i giuramenti non mantenuti/per il suo abbandono, per il destino/e per il grave fardello che grava i suoi passi/Il mio Paese mi fa male per i suoi doppi/giochi” e potremmo continuare questo carme profetico non della Gallia ma della nostra Patria ridotta a dantesco bordello. Anche noi vaghiamo al buio.

Quel murale scapigliato, assorto, dai tratti rinascimentali, Io sarò, non fotografa solo le brume del male d’esistere d’una fanciulla, pare immagine proiettata sulla siepe oscura del presente, anche perché l’arte autentica coglie col segno il futuro dilatando il suo significato nel tempo.

Dalla facciata del palazzo pop di via di Santa Petronilla, quella foto d’archivio diventata gigante, s’inerpica tra le finestre fino al cornicione, recita con sguardo incupito fatica, timori quotidiani di chi viveva la borgata popolarissima già di “case minime” rase al suolo dal ’48, per riscrivere daccapo il quartiere dando carne fresca con la legge De Gasperi ma restando pur sempre un ghetto del disagio.

Tor Marancia o per gli indiani Tor Marancio, dal 2015 da cenerentola s’è messo l’abito bello della principessa, la fatina 999Contemporary ha incubato l’idea nel progetto Big City Life trasformando la zucca in carrozza variopinta, un museo condominiale all’aperto per turisti, cineoperatori, amanti della street art del lotto 1. Così 21 murales giganti d’ altrettanti artisti d’ogni parte del mondo con stili e manualità diversi hanno spruzzato le facciate di 11 palazzine Ater, comprensorio viale Tor Marancia 63, fasciando di seta corpi anoressici d’estetica perché l’architettura costa, n’è cosa per l’edilizia economica e popolare.

Narrano i curatori della vernissage murale dei se, dei ma degli assegnatari a deglutire l’idea, unica modalità vincente: la partecipazione, coinvolgerli attivamente nel progetto, raccogliendo spunti, suggerimenti, storie, speranze dandogli forme e colori.

Così Julian Seth Malland dipinge sul muro non un bambino ma il bambino Luca, morto in un incidente, memoria triste della comunità, eccolo là di spalle, s’è disegnato coi pastelli una scala colorata, si sporge in punta di piedi contemplando l’infinito, aureole blu e celesti avvolgono il capo di questo Bambino redentore del quartiere, ponte d’un innocente tra la terra e il cielo.

Che dire della bellissima Nostra Signora di Shanghai di Mr Klevra apostrofata “un po’ cicciotta” da una signora residente nella palazzina. L’ing. Writer ha qui attinto alle icone bizantine, scegliendo, non a caso, il tipo affettuoso dell’Eleousa , atteggiamento amoroso tra madre e figlio, quello che lega mamma Roma a Tor Marancia. Anche se la città eterna dorme nella sua minimalistica indolenza pur tiene tra le dita un vistoso diamante mentre un drago cinese (Shanghai appunto) le scivola sul corpo nel murale Liberty Hic sunt adamantes, omaggio ai preziosi abitanti del quartiere.

Si sa l’arte figurativa carezza la memoria, offre forme d’aggancio, quella astratta o concettuale è sorgente fresca d’ interrogativi, intorcina la mente, così è per alcuni murales che rischiano di classificare persino il valore d’ una palazzina rispetto a un’altra, pensiamo a Senza titolo del tedesco Clemens Behr, un vero rompicapo rintracciarvi una figura, forse è senza titolo perché senza soggetto, geometrie pure, nude, come la pioggia di quadrati colorati di Alberonero nel murale A Carlo Alberto, 93 Toni o il vortice di nastri blu, gialli, neri di Vento del milanese Moneyless.

La cronaca ci riporta d’un sogno avveratosi ad A. Vinci, il ragazzo del secondo piano costretto sulla sedia a rotelle per aver perso la mobilità alle gambe. La palazzina non aveva ascensore, per scendere dabbasso e risalire c’era bisogno di braccia volontarie. Il murale Veni Vidi Vinci (Lek & Sowat) era un richiamo alla sua emarginazione usandone il cognome, non un errore del motto di Cesare, ma Andrea ce l’ha fatta finalmente ha il suo ascensore per conquistarsi una bella fetta di dovuta libertà.

Insomma come nelle favole C’era una volta una campagna paludosa sull’Ardeatina (ex Municipio XI) vicina alla Garbatella, area di pascolo d’armenti, d’accampamenti sparsi di braccianti migrati in cerca di lavoro a giro del centro Italia, casette rapide, abusive, tirate su co’ legni o mattoni di scarto, una camera sola senza bagno per tutto la nidiata. A queste s’aggiunsero le “case minime” progettate dall’ICP capitolino di Calza Bini per questa borgata popolarissima di seconda generazione. Le mini abitazioni erano in muratura, senza pavimento e un quadrato d’orticello. C’era l’asilo per i bimbi col refettorio, alcuni “buchetti” per il commercio, un presidio sanitario poi verrà la chiesa, ma la pioggia quando scendeva giù a catinelle affogava in un pantano la borgata trasformandola in risaia. A queste prove d’acqua si sommavano scarsa igiene, povertà sociale, precarietà lavorativa, emarginazione coi fatti delittuosi che ne conseguono, per tutto questo il soprannome di Tor Marancia era Shanghai.

Ma come nelle fiabe il brutto anatroccolo si trasforma, con l’arte, in cigno magari con occhi a mandorla accogliendo gli invitati con Welcome to Shanghai del writer Caratoes, l’unico non gigante; fatevi una passeggiata fuori porta a visitare il loto Tor Marancia scegliendo poi di far trekking nel grande parco archeologico sfuggito al cemento di compensazione.

Nel verde incontaminato dell’agro ci sovviene l’Alme sole invictus, murale di Domenico Romeo, speriamo che il sole ardente, romano, sciolga le paure di Io sarò oggi di Noi saremo.

Torna in alto