La via dell’orto

 

La via dell’orto

“Fare la via dell’orto” è un detto toscano sta a significare una via percorsa molte volte, quasi sempre inutilmente o con scarsi risultati.

Il tema della “rivolta generazionale” è uno di quei temi più recenti, forse l’unica vera novità degli ultimi cento, centocinquanta anni. La genesi è molteplice ma risiede fondamentalmente in quel grande cambiamento nella mente di base della società occorso durante il diciannovesimo secolo che risponde alla nozione di “progressismo”. L’idea, in parole povere, che non era più ragion sufficiente che una cosa fosse antica per essere giusta, come era invece accettato senza troppi problemi, semplificando assai, fino più o meno alla Rivoluzione Francese 

La “rivolta generazionale” non è altro che una forma di “biologizzazione” di questa idea, cioè che il buono ed il meglio stanno oltre la staccionata. Non è più sufficiente che questo meglio cammini sulle gambe delle idee nuove e delle novità, è assolutamente evidente che questo meglio cammini nel sangue giovane di chi, cronologicamente, viene dopo. Perfino alcuni calvinisti, gli irreprensibili Calvinisti, per difendere la (quasi) parità della donna avevano sostenuto che l’esser stata generata dopo rendeva Eva “migliore” di Adamo.

Questa rivolta assume tante forme. La furia rottamatrice renziana è stata la forma italiana, la variante machiavellica e cinica. Ma in fondo anche l’attenzione fascista al mito della giovinezza si nutre di una perversa convinzione del genere. Altrove la rivolta generazione ha assunto coloriture ancor più dirompenti, come durante il ’68, nato rivolta generazionale e morto movimento degenerato.

Ora che l’Ambiente è il tema del secolo (a ragione, peraltro), non poteva che appropriarsi di una tematica tanto ineccepibile a prima vista. Chi ha il coraggio di mettersi contro i giovani? Fin dalla antica Grecia, in una sorta di strano scambio con l’effettiva dominanza degli anziani nella Polis, la giovinezza si è ammantata di una sacrosanctitas aurea. Qualsiasi politica, qualsiasi misura e qualsiasi ideologia si armino del “per i giovani” è virtualmente giusta. Le riforme per i giovani sono la versione democristiana della “rivolta generazionale” e questa è la versione barricadera della prima, e viceversa.

Ovviamente la “Rivolta generazionale” è tremendamente essenzialista, cioè pretende che una categoria data (giovane/vecchio, uomo/donna, bianco/nero etc.) sia intrinsecamente giusta o auspicabile. In tal senso non v’è differenza tra un razzista ed un “giovanilista”, od un “giovalinista” ed una femminista/maschilista.

La Storia ci ha fatto intravedere che i movimenti essenzialisti sono destinati al fallimento. Totale. E non perché rimangano minoritari (il “femminismo”, nella sua variante pop, accumuna tutti) ma perché si basano su un soggetto inesistente. Non esiste “il Giovane”. Chi è “il Giovane?”. 

Passi che, effettivamente, la configurazione storica dello sviluppo antiecologico è stato il divoramento del capitale ambientale anticipato da inserire nell’equazione economica attuale. Ma come è evidente questo è servito soprattutto a mettere in moto generazioni di indebitati indebitanti. Nella misura in cui è un problema di redistribuzione del rischio, sarebbe necessario per i giovani uccidere lo stesso mondo che li ha messi nelle migliori condizioni tecniche in cui potessero trovarsi. In parole brevi: la “Rivolta generazionale” richiedere un suicidio economico collettivo contro sé stessi, in ottica dei giovani.

La “rivolta generazione” è una fregatura, consapevole o meno. Ogni essenzialismo surfa sulla realtà complesse e taglia la realtà con l’accetta. Non funziona nel discorso delle pensioni, non funziona nei Fridays for future, non funziona nella “battaglia culturale” (che a vedere certi giovani vien voglia veder vincere agli ultranovantenni).

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