Il Re è nudo


 

Il Re è nudo

Firenze, 12 febbraio 1951 Giovanni Battista Giorgini (1898-1971), discendente dalla nobile famiglia lucchese dei Giorgini, cognato di Vittoria Manzoni, (l’ottava figlia di Alessandro Manzoni), presso villa Torrigiani la sua residenza privata di Firenze, alla presenza di importanti compratori statunitensi, fra cui Gertrude Ziminsky per Altman and Company di New York, John Nixon per Henry Morgan di Montreal, Julia Trissel per Bergdorf Goodman di New York, Stella Hanania per I. Magnin di San Francisco, tenne la: “First Italian High Fashion Show”, una sfilata alla quale si fa convenzionalmente risalire la nascita della moda italiana. Giorgini fra le due guerre si era dedicato all’attività di rappresentante dei prodotti dell’artigianato toscano, paglie, ceramiche, biancheria ricamata, che aveva commercializzato anche negli Stati Uniti, acquisendo una conoscenza molto approfondita del mercato e dei gusti d’oltreoceano. Sapeva che la produzione delle case di moda italiane, dall’alta sartoria, alle creazioni per lo sport e quelle per il tempo libero, aveva le carte in regola per soddisfare le esigenze di un mercato in cui la ricchezza diffusa aveva creato bisogni di consumo che non potevano essere appagati dalle creazioni elitarie proposte dagli atelier parigini.

A Firenze per l’alta moda romana sfilarono Simonetta, Carosa, Alberto Fabiani, le sorelle Fontana ed Emilio Schuberth. Milano era presente con le creazioni delle sartorie Vanna e Noberasco, con le pellicce di Jole Veneziani, e con Germana Marucelli, considerata dagli storici della moda l’anticipatrice del look di Christian Dior. Per la moda boutique sfilarono i sarti milanesi Giorgio Avolio, e Franco Bertoli, che, si distingueva per originalità e fantasia, doti affinate durante gli anni ‘30, quando la scarsità delle materie prime aveva costretto a far largo impiego di materiali di fortuna. Presentò i propri modelli anche Emilio Pucci, che a quell’epoca si era già aperto un varco nel mercato statunitense. A Roma nel 1958 fu fondata la Camera sindacale della moda italiana e, sempre a Roma, nel 1959 aprì la propria casa di moda Valentino. Il resto come si usa dire, è storia.

Nel quinquennio 2013-2017 secondo i dati del “Focus Moda” dell’area studi di Mediobanca il fatturato del settore moda è stato di 70,4 miliardi di euro, pari all’1,5% del Pil. Tra i comparti domina l’abbigliamento, che totalizza il 40,5% dei ricavi totali, seguito dalla pelletteria (20,9%) e dall’occhialeria (16,2%). Pare che il settore moda sia inarrestabile, e che l’intuizione del nobile lucchese abbia superato le sue stesse aspettative, ma è davvero così? La proprietà di molti dei brand italiani è ormai da anni volata altrove, la produzione si svolge principalmente all’estero, i quella poca che rimane in Italia in maggioranza è svolta da maestranze cinesi, che si sono acquistati quasi tutte le industrie del tessile dell’hinterland pratese, a Prato vi sono interi quartieri dove gli italiani sono del tutto scomparsi. A questo aggiungiamo il terrorismo mediatico sull’ambiente portato avanti dai “gretini” e la dipendenza virtuale delle nuove generazioni, e presto anche questo settore dell’economia italiana sarà solo un ricordo. Produrre capi di abbigliamento inquina l’ambiente, dai soliti U.S.A.arriva il mercato della moda sostenibile, il “fashion renting,” per dirlo nella lingua di Dante, abiti a noleggio.

Negli ultimi 15 anni la durata dei vestiti è diminuita in media del 40%, la “fast fashion”, la moda a basso prezzo che promuove l’abbondanza di abiti prodotti con processi di lavorazione inquinanti, sta per essere messa al bando. La “fashion renting” dagli U.S.A. si è spostata nel Regno Unito ed in Cina, dove è un fenomeno già largamente diffuso. Grazie ad alcune startup, si sta diffondendo seppur lentamente anche in Italia. Stando ai dati elaborati dall’istituto di ricerca Allied Market Research, da oggi al 2023 il fashion renting passerà da un giro di affari di circa 1,01 miliardi di dollari ad oltre i 2 miliardi, generando un tasso di crescita annuo superiore al 10%. Vestirsi ai tempi di Instagram è una questione piuttosto complessa, perché nell’era dei social media, il vero scopo di indossare un vestito non è sentirsi a proprio agio, al di là della priorità dell’attimo, ciò che importa sono le foto che in quell’istante ci ritraggono, e che rimangono imperiture a raccontare sulle nostre bacheche non solo l’esperienza vissuta, ma anche quale straordinario outfit portavamo.

E’ stato con questa dinamica in mente che l’americana Jennifer Hyman, oggi leader del settore, nel 2009 ha creato Rent The Runway, il sito che offre abiti e accessori in affitto. Quello della sharing economy è un sistema ormai radicato nella nostra quotidianità, e come Netflix ha sostituito VHS e dvd, Spotify Vinili e cd, Uber Car2Go ed Enjoy il possesso della macchina, così Rent The Runway e i siti che sono nati a seguire, si preparano a modificare radicalmente il modo in ci vestiamo. Tutto ciò che ognuno di noi possiede, sia la casa di proprietà, la collezione di VHS, o di Vinili, l’auto con cui spostarsi, rappresentano un fardello materiale ostacolo per la mobilità, il sistema capitalistico promuove case in affitto, auto a noleggio, intrattenimento online, ed ora anche l’abbigliamento “fashion renting”, tutto elargito in comode rate mensili, un essere umano perennemente indebitato, e possessore di nulla, così da poter essere agevolmente, spostato dove il mercato lo richiede, senza più neppure l’incombenza di dover fare le valige. Per chi non potrà permettersi di noleggiare abiti griffati Google ha reso disponibile per Android, una applicazione per vestiti virtuali, un software di editing con adesivi che permette di sovrapporre abiti virtuali scelti da un infinito catalogo di marchi alla vostra foto.

Nel 1837 Hans Christian Andersen pubblicava per la prima volta il racconto “I vestiti nuovi dell’imperatore”. La fiaba narra di un imperatore vanitoso, completamente dedito alla cura del suo aspetto esteriore, e in particolare del suo abbigliamento. Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso, con la peculiarità di risultare invisibile agli indegni. I cortigiani inviati dal re non riescono a vederlo, ma per non essere giudicati, riferiscono all’imperatore lodando la magnificenza del tessuto. L’imperatore, convinto, si fa preparare dai sedicenti tessitori un abito, quando gli viene consegnato, però, l’imperatore si rende conto di non essere neppure lui in grado di vedere alcunché, attribuendo la non visione del tessuto a una sua indegnità decide di fingere e di mostrarsi estasiato. Il re sfila senza vestiti nell’acquiescenza generale, una folla di cittadini applaudono e ne lodano a gran voce l’eleganza, sentendosi segretamente colpevoli di inconfessate indegnità. Solo un bambino dall’alto della sua coscienza immacolata ha il coraggio di urlare alla folla: “Il Re è nudo!”.

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