De Regimine Principum [33]: il dominio del Papa che è superiore ogni altro potere
Per un’identica causa e ragione il dominio è passibile di quattro divisioni. Ce n’è uno che è insieme sacerdotale e regale. Il secondo poi è solamente regale – e in questo è compreso il dominio imperiale e ogni altro potere della stessa specie, come risulterà chiaro più avanti. Il terzo invece è politico. Il quarto è economico, o domestico.
Il primo è superiore a tutti gli altri per varie ragioni; ma la più importante si desume dalla istituzione divina, cioè dall’istituzione fatta da Cristo. EssendoGli, infatti, stata conferita ogni potestà in ordine alla sua umanità, come risulta dal Vangelo di San Matteo, comunicò questa potestà al suo vicario quando disse: «Ed io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Matteo, 16, 18-19).
Parole in cui si riscontrano quattro clausole, poste tutte a significare il dominio di Pietro e dei suoi successori sopra tutti i fedeli e per le quali a ragione il Sommo Pontefice Vescovo di Roma può essere chiamato Re e Sacerdote. Se infatti Nostro Signore Gesù Cristo viene così chiamato, come attesta Sant’Agostino nel diciassettesimo libro del De Civitate Dei, non può giudicarsi erroneo chiamare così anche il suo successore, tralasciando le ragioni che possono essere addotte, perché la cosa è troppo evidente. Ma è necessario tornare alle clausole cui abbiamo accennato: la prima di esse si desume dalla grandezza del nome imposto, la seconda dalla virtù del dominio, la terza dalla sua ampiezza, la quarta infine dalla sua pienezza.
Desumiamo la prima da quelle parole del Signore: «Ed Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa Pietra edificherò la mia Chiesa». Con questo nome, infatti, come spiegano i sacri dottori quali Ilario e Agostino, il Signore indica il potere di Pietro; poiché dalla pietra, che – a detta dell’Apostolo – è il Cristo, che egli aveva appena confessato, Pietro ebbe il suo nome, affinché anche secondo una certa partecipazione acquistasse e nome e potere, meritando di ascoltare: «E sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa»; nel senso che tutto il potere di Pietro tra i fedeli, da Pietro sarebbe derivato a tutti i suoi successori.
La seconda clausola poi implica la virtù del dominio. E questo lo esprimono le parole che seguono: «E le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa». Tali porte sono le corti dei tiranni e dei persecutori della Chiesa, come insegnano i sacri dottori; e sono chiamate così perché sono causa di tutti i peccati in seno alla Chiesa militante. A tali prìncipi, infatti, ricorrono tutti gli scellerati, come avvenne nella corte di Federico II, di Corradino e di Manfredi. Ma essi non prevalsero contro la Chiesa di Roma; anzi furono tutti estirpati da una brutta morte; perché, come sta scritto nel libro della Sapienza (3, 19), «dura è la fine di una generazione ingiusta».
L’ampiezza del potere poi risulta da quanto il Signore aggiunge: «Io ti darò le chiavi del Regno dei cieli». In questo infatti è indicato il potere di Pietro e dei suoi successori, che si estende a tutta la Chiesa, cioè a quella militante e a quella trionfante, designate come Regno dei cieli, le quali vengono chiuse dalle chiavi di Pietro.
Invece la pienezza di codesto potere viene espressa da quell’ultima frase: «E tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Essendo infatti il Sommo Pontefice il capo nel corpo mistico di tutti i fedeli di Cristo, e provenendo dal capo, nel corpo reale, ogni movimento e sensazione, così pure sarà nel caso di cui si parla. Perciò si deve affermare che nel Sommo Pontefice c’è la pienezza di tutte le grazie, perché egli soltanto può conferire l’indulgenza plenaria per tutti i peccati, dal momento che gli compete ciò che, come a primo dei prìncipi, attribuiamo al Signore, che «della pienezza di lui tutti abbiamo ricevuto» (Gv., 1, 16).
Se poi si obbiettasse che ciò deve essere riferito alla sola potestà spirituale, noi risponderemmo che ciò non può essere, poiché ciò che è corporale e temporale dipende dalla virtù dell’anima. Come dunque il corpo riceve dall’anima essere, virtù ed operazione – come risulta dalle parole di Aristotele e da quelle di Sant’Agostino nel De immortalitate animae[1] -, così anche la giurisdizione temporale dei prìncipi si riceve da quella spirituale di Pietro e dei suoi successori.
Una dimostrazione di questo la possiamo desumere dagli atti dei sommi Pontefici e degli Imperatori, poiché questi (ultimi) si sottomisero quanto alla giurisdizione temporale.
In primo luogo ciò risulta dal fatto che Costantino nell’impero si sottomise a Papa Silvestro. Così dal fatto che Carlo Magno fu fatto imperatore dal Papa Adriano; e che Ottone I fu fatto e nominato imperatore da Papa Leone, come narra la storia. Ma il potere dei papi appare con chiarezza dalla deposizione di prìncipi compiuta dall’autorità apostolica. E per primo troviamo Zaccaria, che esercitò questo potere sul re dei Franchi, poiché lo depose dal trono e sciolse tutti i baroni dal giuramento di fedeltà. Ugualmente Innocenzo III tolse l’impero a Ottone IV; e la stessa cosa capitò anche a Federico II, da parte di Onorio III, immediato successore di Innocenzo III.
Certo su tutti costoro i Sommi Pontefici non stesero la mano se non a cagione della loro (dei prìncipi) iniquità, poiché il loro potere, e quello di qualsiasi altro signore, va ordinato al bene dei sudditi. Diversamente non sono signori legittimi, ma tiranni, come prova Aristotele e come abbiamo detto in precedenza. Ecco perché il Signore nel Vangelo di San Giovanni fa una domanda insistente, chiedendo per tre volte al suo successore Pietro, se lo ama, per dirgli poi di pascere il suo gregge: «Pietro, mi ami tu? Pasci i miei agnelli» (Gv., 21, 17); quasi che in questo consista tutta la cura pastorale, cioè nel vantaggio del gregge.
Supposto dunque che egli agisce a vantaggio del gregge, come vuole Cristo, il Papa sta al di sopra di ogni altro dominio, come appare chiaramente da quello che abbiamo già detto; e questo è ben dimostrato dalla prima visione di Nabucodonosor, cioè dalla statua, la cui testa era d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e il femore di bronzo, le tibie di ferro; dei piedi, poi, una parte era di ferro, l’altra di argilla. Ma, mentre guardava questa statua, si staccò dal monte una pietra senza che la muovesse alcuna mano e frantumò tutti codesti metalli. Questa pietra, poi, diventò un grande monte e riempì tutta la terra. E il profeta Daniele, come spiegano i Santi Girolamo ed Agostino, applicò questa visione ai quattro imperi, cioè a quello degli Assiri per quanto riguarda la testa d’oro, a quello dei Medi e dei Persiani per l’argento delle braccia e del petto; a quello dei Greci per il ventre e il femore di bronzo; infine a quello dei Romani per le tibie di ferro e per i piedi in parte di ferro e in parte di argilla. Però dopo queste cose il profeta Daniele dice che «il Dio dei cieli susciterà un regno che non sarà mai in eterno distrutto, e il suo impero non sarà trasferito ad un altro popolo: esso annienterà e farà scomparire tutti cotesti regni, ed esso durerà in eterno» (Daniele, 2, 44). Questa profezia la riferiamo tutta a Cristo e in sua vece alla Chiesa Romana, se mira a pascerne il gregge.
Bisogna anche osservare che un’istituzione divina non può essere sovvertita, perché Cristo prese i suoi successori soltanto come dispensatori e ministri, come disse San Paolo: «Noi dobbiamo essere considerati come servitori di Cristo e come amministratori dei misteri di Dio» (1 Cor., 4, 1). Infatti il solo Cristo fondò la Chiesa, il cui ministero affidò a Pietro ed agli Apostoli. «Nessuno può porre altra base diversa da quella che è stata posta e che è Gesù Cristo» (1 Cor., 3, 11). Perciò i sacri dottori attribuiscono a Cristo un potere, che né Pietro né i suoi successori hanno mai avuto, e che definiscono «di eccellenza»; e in tal senso il potere di Pietro e dei suoi successori non è uguale a quello di Cristo, anzi quest’ultimo gli è nettamente superiore. Di fatto Cristo poteva salvare anche senza battesimo; e per questo San Gerolamo, nel commento a San Matteo, afferma che Gesù non guarì nessuno nel corpo senza averlo guarito nell’anima, e tuttavia senza battesimo; cosa che Pietro non ha potuto fare. Perciò, come si legge negli Atti degli Apostoli, battezzò il centurione Cornelio con tutta la sua famiglia anche dopo la discesa dello Spirito Santo. Cristo, inoltre, aveva anche il potere di cambiare la forma e la materia dei sacramenti, mentre né Pietro né i suoi successori hanno questo potere.
Basti ora quello che è stato detto, lasciando ai sapienti gli argomenti più sottili che si potrebbero addurre. Tuttavia la conclusione di questo capitolo sia ben ferma in questo: i vicari di Cristo, ossia i pastori della Chiesa, hanno un potere superiore tutti, per le ragioni che abbiamo addotto.
[1] Sant’Agostino di Ippona, De immortalitate animae, Contro il naturalismo stoico-epicureo: immortalità e corporeità, 16.25.