La rivoluzione conservatrice di Adriano Romualdi [13]

    

La rivoluzione conservatrice di Adriano Romualdi [13]

Le riviste di Jünger – Arminius, Der Vormarsch, Standarte e altre – si volevano caratterizzare come espressione di un nuovo nazionalismo, privo della retorica patriottarda e capace di puntare le chance di riscatto sull’uomo nuovo uscito dalle trincee della Grande guerra.

L’auspicio era il trasferimento della Mobilitazione Totale dal dominio militare a quello civile, capace di produrre una concezione totalitaria in cui la vita viene concepita come servizio, sacrificio, responsabilità, al di fuori di ogni tornaconto e interesse personale. Il mondo borghese appariva inadatto, allo scrittore, nella gestione di uno Stato che, come abbiamo visto nell’Operaio, non è più un piroscafo di passeggeri, ma una nave da guerra. Allo stesso modo inadatto appare il socialismo, che si pone su di un piano di rivendicazioni individualistiche, con la volontà solo di allargare la platea dei consumatori. La Mobilitazione Totale mette in crisi la libertà assunta come valore politico fine a se stesso; come Nietzsche, anche Jünger crede che non conti la libertà da, quanto una libertà per. La libertà, cioè, deve coincidere con la possibilità del singolo di esprimersi nella totalità in cui è inserito e che costituisce la Nazione.

Per Jünger, il nazionalismo soltanto può sviluppare l’idea del soldato politico uscito dalla Grande guerra, ma anche dalla rivoluzione bolscevica: un uomo pronto nell’obbedire e nel comandare, nella unità consapevolmente vissuta di libertà e servizio. Un’etica evidentemente estranea al mondo borghese e al socialismo che in fondo condividono lo stesso ideale del quieto vivere e del benessere. Il nazionalismo nuovo, infatti, è quello imperialista non quello borghese-guglielmino; è un nazionalismo moderno, non antiquato come la stessa ideologia “sangue e suolo”: roba da museo, secondo Jünger. Si è visto come L’Operaio voglia descrivere i caratteri di una civiltà in fieri che ritrova il contatto con le forze profonde, “elementari”, capaci di produrre un uomo prospettico e globale, superiore all’uomo unidimensionale borghese. Il mondo borghese ha dichiarato inutile il santo, il guerriero, il signore e ha posto al centro la sicurezza e l’utilità. La nuova società industriale e la guerra dei materiali ha creato invece l’Operaio, una specie di soldato per il quale la tecnica è misura a se stessa e non strumento per il benessere materiale.

Lo stesso uomo è nuovo: il viso è più metallico, lo sguardo è calmo e freddo; è un razza che si avvia a diventare “tipo” e a dare alla società un nuovo ritmo.

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