Scuola di Pensiero Forte [72]: la Ragione è per il Bene


 

Scuola di Pensiero Forte [72]: la Ragione è per il Bene

Quanto appreso fino qui ci permette di considerare la nostra libertà sotto un ulteriore aspetto, l’ultimo della nostra trattazione ma non certo l’ultimo nella sua totalità ed ampiezza, che è quello dell’etica, vale a dire del giudizio di bene o di male delle nostre azioni.  Già nel primo volume[1] di questa Scuola abbiamo potuto affrontare quale sia l’etica che, a ragion veduta, è la migliore per il Pensiero che promuoviamo. Si tratta della etica della felicità, così da noi chiamata perché mira alla realizzazione della felicità più vera, autentica, completa e reale della persona e il Bene ultimo della società. Ponendo assieme i due elementi, quello della ragione così come la abbiamo pocanzi considerata e quello della etica della felicità, cercheremo ora di mostrare il ruolo decisivo che la libertà gioca nella realizzazione di tale scopo.

Come premessa, abbiamo la persona, dotata della sua dignità ontologica e morale, dotata di ragione e libertà. Essa desidera e tende verso il suo bene ultimo, agisce per attuare la propria felicità, all’interno del contesto della comunità e dell’ambiente in cui vive.

Ora, la persona ha la libertà di scegliere un’azione piuttosto che un’altra, discernendo fra ciò che è bene e ciò che è male, nell’ottica di raggiungere l’obbiettivo finale, quello della felicità. Anche dietro agli obbiettivi prossimi si cela sempre il desiderio di perseguire quello ultimo, poiché il nostro agire è nella sua totale complessità tutto volto alla realizzazione della persona.

Se ne deduce che le nostre azioni hanno un peso determinante per la nostra storia, la nostra vita, la nostra felicità, ma non solo: tutto ciò che facciamo ha ripercussioni sul resto del mondo attorno a noi, sulle altre persone. Il nostro agire, dunque, ha un potere.

La Ragione ci è data, dunque, per scegliere il Bene e realizzare la nostra piena felicità e quella del nostro prossimo. Non solo “per me”, quindi, ma anche e contemporaneamente “per l’altro”.

Forse potrà sembrare banale o scontato questo discorso, specie dopo aver trattato in maniera tecnica le dinamiche della libertà umana, ma in realtà non è così. Questo lo si capisce se ci fermiamo a considerare quale è la nostra responsabilità nel mondo e l’uso che facciamo della nostra ragione e del potere che essa ha. Dobbiamo domandarci: sono una persona che pensa prima di agire? Mi impegno a ragionare sulle cose che faccio? Cerco di comprendere il bene e il male delle mie libere scelte? Mi assumo la responsabilità di ciò oppure no? Con l’uso della mia ragione, della mia libertà e delle risorse che ho, lavoro per il Bene mio e del prossimo?

Sono domande che ci interrogano nel profondo. Dall’uso che faccio della mia ragione e della mia libertà, dipendono tante cose, molte più di quelle che talvolta riesco a comprendere. Un uso della mia ragione che sia libero; un uso della mia libertà che sia ragionato. E, sia ben chiaro, questo percorso di presa di coscienza di sé, o di autocoscienza per usare un termine caro alla filosofia moderna e contemporanea[2], è strettamente ed esclusivamente personale, nel senso di proprio della persona in quanto tale, del singolo soggetto definito, unico e irripetibile. Ognuno ha il suo, ognuno deve fare il proprio percorso, la propria scuola, la propria fatica per arrivare a prendere, appunto, coscienza di sé.

Non si tratta di una cosa “per tutti”: questo non nel senso che è un percorso “esoterico” che per qualche strano motivo viene occultato alle masse e riservato a pochi eletti iniziati; no, è così, purtroppo, perché la grande maggioranza delle persone vivono non come persone ma come individui, massificati nel nichilismo annientante della società, senza una identità definita, senza la consapevolezza del proprio vivere e del valore stesso della vita, distratti dalla verità. Si tratta di una situazione drammatica, dobbiamo riconoscerlo, e ne parleremo meglio nel prossimo capitolo con maggiore attenzione.

Dal momento in cui la persona prende in mano coscientemente la propria esistenza, ecco che diviene capace di fare scelte importanti e di compiere, quindi, azioni di valore, un valore che sarà certamente da misurare e giudicare davanti alla Legge morale e naturale, ma che porterà ad una vita qualitativamente e quantitativamente diversa da quella vissuta fino a quel momento.

Il punto è: chi vuole mettersi in gioco? Chi è pronto a mettersi in discussione per cercare di capire la verità di se stesso?

 

 

 

[1] Cfr. Lorenzo Maria Pacini, Scuola di Pensiero Forte – vol. 1, capp. 12, 13, 15.

[2] Scriveva Karl Jaspers <<La coscienza non si esaurisce nell’intenzionalità diretta agli oggetti, ma, ripiegandosi, riflette su di sé. Come tale, essa non è solo coscienza, ma autocoscienza. L'”io penso” e l'”io penso che penso” coincidono in modo da non poter esistere l’uno senza l’altro.>> in Philosophie, 1932. 

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