Le voci si sovrappongono nelle stanze, un via vai frenetico. I suoni di un televisore si mescolano alla generale confusione. La parete della grande sala espone una gigantesca foto dove una giovane e avvenente coppia si bacia; sullo sfondo, le silhouette di una metropoli salutano il giorno. Un uomo è costretto su di una sedia a rotelle, ha un bell’aspetto, non elegante, ma distinto, e il suo volto sembra ancora energico. Muove il capo ossessivamente a indagare tutte quelle figure che gli si agitano attorno. Ogni tanto sbraita contro alcune di loro per qualcosa che non gli va a genio, o solo per attirare l’attenzione. Le frasi suonano a volte confuse, altre volte più lineari; la memoria, logora come una coperta troppo usata, non riesce a ricucire gli anni e i vuoti improvvisi non ammettono di essere colmati. Anche lo sguardo, in alcuni momenti, tradisce un’assenza. Sembrano tutti lì per lui, tutti impegnati in qualcosa di molto importante. Un ragazzo gli si avvicina per portargli da bere, non manca di gentilezze, per lo più affettate; un altro rimprovera il suo egoismo, solo per farlo sentire in colpa; c’è anche qualcuno che lo ignora, ma educatamente. Lui guarda, attende, tra la veglia e l’incoscienza. Fuori è una bella giornata. L’inverno è sceso nelle strade, ma l’aria è secca e buona. Lui può solo immaginarla attraverso le finestre sempre velate dalle tende bianche. Quando si alza il vento e i vetri sono appena accostati, uno spiraglio di cielo colpisce i suoi occhi; un desiderio e una nostalgia, ma nulla più. Cosa lo abbia ridotto in quello stato non è chiaro: un incidente, uno shock improvviso, forse altre cause ignote. Egli non avverte più le forze scorrere attraverso il suo corpo, solo un’inerzia che si fa a tratti intollerabile. La debole speranza poggia sull’impotenza. Nulla è più sotto il suo dominio, così egli crede. Eppure non è il suo corpo ad essere intaccato dalla malattia, ma la sua mente, come intrappolata dai lacci di un sortilegio. Né un nervo, né un solo muscolo sono in realtà danneggiati. Basterebbe che la mente d’un colpo si svegliasse da tal sonno e comandasse al corpo «alzati, e cammina», ed egli obbedirebbe come un soldato al suo superiore.
I tre piani delle scienze costituiti dall’Antropologia (dottrina sintetica dell’Uomo), Cosmologia (dottrina sintetica dell’Universo), Teologia (dottrina sintetica di Dio) che si compongono in un unicum gerarchico, si sostanziano nella triplice iniziazione Artigiana, Regale e Sacerdotale la cui espressione sociale si espone nelle leggi Corporative, Cavalleresche e Sacerdotali. Pertanto, attiene proprio alla casta artigiana l’organizzazione della società e le associazioni professionali e non i partiti dovrebbero costituire «l’ossatura di base dell’ente politico e l’articolazione naturale della vita associata». La Tradizione infatti non è duplice (Chiesa e Stato), ma triplice (Società – Stato – Chiesa). La situazione attuale vede ancora in piedi la casta dei sacerdoti e quella dei reggitori civili e militari, seppur estremamente deviate e traballanti, ma approfondire tale aspetto ora ci porterebbe lontano dall’obbiettivo che ci siamo prefissi. A mancare completamente è proprio la casta che sta ai piedi e sulla quale l’intero corpo si regge: quella appunto delle arti e mestieri. La liquefazione dell’ordine sociale è stato preceduto e oggi sostenuto dalla confusione delle idee fino al traguardo massimo della loro assenza. L’individuo imbrigliato nella massa e schiavo della competizione liberista, non riesce a raggiungere la statura di persona; davanti a sé il monolito dello Stato resta l’unico appiglio a cui delegare ogni decisione per l’assetto della comunità. Si esprime il proprio voto – quando ancora permesso – si scende in piazza a protestare, si organizzano raccolte firme o campagne pubblicitarie di sensibilizzazione, ma lo sguardo è sempre rivolto alle stanze dei governanti; un atteggiamento da supplica, di fatale impotenza, perché radicato nella più sconsolante ignoranza.
In verità la possibilità di azione sul piano storico, seppur coi limiti imposti dal dominio delle forze sovversive, è ancora vastissima. E quella sul piano interiore e invisibile che dà forza e spinta alla prima è illimitata. Ciò che trattiene nell’immobilità è la rete di consuetudini e schemi tessuta dall’Avversario; rete che si distende a coprire ogni zolla della presente società con la subdola immagine di essere innocua. Sono le maglie di questa rete che vanno tagliate al più presto, non vi è altra strada percorribile. La consuetudine per cui viviamo il lavoro come dovere, come necessario sforzo per il proprio sostentamento, al più come passione, anziché realtà tangibile della propria e unica “elezione fondamentale” – che va scoperta però – come atto di redenzione verso se stessi e come accrescimento umano e spirituale della comunità. La consuetudine per cui è l’interno che ha da adeguarsi all’esterno e non viceversa, in special misura oggi che la realtà esteriore è malata sin nelle fondamenta. La consuetudine di poter misurare il valore di ogni persona fissando il punto raggiunto su un’asticella che va da A a B, enumerando i traguardi conseguiti (titoli, esperienze lavorative, ecc.) e in base a questo decretare il suo posto nella società e l’assegnazione di un impiego, anziché riconoscere come la vera vita si conquista attraversando sentieri tortuosi che ci fanno a volte tornare là dove eravamo già passati e che magari d’un sol balzo ci proiettano alla meta e che nella quantità vi è solo inganno, mentre è nella secreta qualità che si conosce una persona. Se ne potrebbero elencare ancora così tante di tali consuetudini da poter riempire un libro intero, e non scherziamo affatto!
Perché ciò sia possibile, però, una schiera, seppur piccola, di uomini nobili, deve ergersi dalla palude della massa. Nobili, perché scelti, allenati (allenamento = askesis) dalla prova, in continua tensione verso l’ideale. Elaborare un’architettura sociale conforme alle leggi umane e divine non può bastare. Serve la scelta da compiere in prima persona. Serve una piena metànoia. Nulla può cambiare se prima non cambiamo noi stessi.
Allora l’uomo si alzerà in piedi di scatto, getterà la sedia a rotelle che lo tratteneva invalido e prenderà nuovamente possesso della propria dimora. “La porta è aperta, gli ospiti indesiderati possono accomodarsi fuori, per favore”.