Se non vado confondendomi (senilità), è di Oswald Spengler l’affermazione come, al fondo, ogni civiltà è difesa da un plotone di soldati. O se ne vede l’annuncio. Così la pensavano Lenin e Trotsky se osarono sfidare un mondo quasi totalmente ostile (a parte certe probabili complicità del giudaismo internazionale); e la Rivoluzione di Ottobre fu d’una minoranza di uomini decisi, animati da un (in) sano fanatismo, che seppero imporsi in un paese formato da masse ignare e succubi.
Operai e contadini ove il partito bolscevico contava poche decine di migliaia di militanti. Così accadde con la città di Fiume e l’impresa di D’Annunzio – e tanto Fascismo (nonostante si tenda, dietro l‘autorevolezza spuria del professor De Felice, a rilevarne i distinguo e le difformità e i contrasti) deve a quei mesi di legionari e arditi e simboli e ritmi e riti di cui il Vate fu creatore e dispensatore inesausto. E, con esso, quel primo Fascismo fatto di 18 BL con i suoi manipoli in camicia nera armati di randelli e bombe a mano. Da cui, ognuno con la propria peculiarità, presero naturale imitazione camicie brune e verdi e azzurre. Tutti “soldati di Salamina” (cito il titolo del libro di Javier Cercas del 2002, intrigante pur se avverso), cioè nel loro anonimato furono storia – e per noi – di nobile conio.
Nessuno – tranne pochissimi – se ne ricorda il tratto il nome il sangue versato né vi è piazza o via che ne indichi nome e cognome. Eppure, furono tutti e in qualche modo il plotone citato da Spengler o quei soldati di Salamina che ressero l’urto delle navi persiane. Oriente contro Occidente. Non sono sopravvissuti a sé stessi ma un mondo è sorto per loro merito una civiltà s’è preservata con il loro sacrificio. Un’Idea e un Capo, certo, per dare alla realtà uno Stile, ma buone gambe per marciare avanti e di nuovo avanti. È Napoleone ad affermare che, in guerra, è tutta questione di scarpe. Nella nostra esistenza, nell’impegno che ci siamo dati, incontri – in Stile Ribelle ne ho tracciati alcuni – che sono stati lezione. Uomini e donne che non pretendevano essere rappresentanti della Storia, eppure lo erano anche se non hanno trovato un cantore o un pittore che ne raffigurasse il gesto…
Non si tratta qui di contrapporre i pochi contro i molti o viceversa. Nessun elogio delle masse (il loro irrompere nella scena politica del Novecento attraverso il fango e la trincea della Guerra Mondiale) o, simile a raccolta di figurine (quante he ho fatte da bambino!), incorniciare volti di condottieri. È ritrovarsi, senza pretesa d’essere io stesso uno di loro, con coloro che meritano essere annoverati in quel plotone o su una delle navi greche.