La vendetta di sangue

 

La vendetta di sangue

Conosciamo molto del Giappone, quanto e quanto in profondità è altro dire. Forse ci siamo accostati (con presunzione e nostalgia), il film I Sette Samurai del regista Akiro Kurosawa, qualche riferimento di Julius Evola e di Giuseppe Tucci. Di recente (si fa per dire) la canzone dei Litfiba Eroi del vento e (va da sé) i libri dello scrittore Yukio Mishima (del suo tragico e spettacolare suicidio appresi nel carcere di Regina Coeli). Soprattutto tramite gli accadimenti storici legati al conflitto 1939 -‘45, l’adesione ad una alleanza, a quel Tripartito tanto discusso e tanto discutibile dove apparve come ognuno dei contraenti facesse una guerra in proprio. Oggi uno scaffale della libreria vede accatastate diverse opere in saggi e romanzi. E da uno scritto di Mishima trassi rappresentazione teatrale così ben riuscita merito dei ragazzi del Foro 753.                   

Flavio Cipriano vive da alcuni anni in Giappone, ove s’è sistemato e credo abbia poco o nulla intenzione di tornare in Italia. Un paese, come il nostro, che da oltre settanta anni ha ucciso ogni sentimento di identità e di patria, difficilmente promuove ogni possibile nostalgia. Dicono che s’è abusato di retorica nel Ventennio e che non ci ha portato fortuna o, ipotesi fondata, troppo pochi sono stati vent’anni per cambiare la mentalità e i modelli comportamentali di un popolo… Comunque sia il padre, nostro amico e combattivo editore, ha voluto stampare la tesi di laurea di Flavio dal titolo La vendetta di Ako e me ne ha mandato copia tramite Rodolfo. Una ricerca accurata e documentata su un episodio della storia del Giappone e che, tuttora, si mantiene vivo nella memoria e nel sentimento popolare.                                                                              

 La vicenda si riassume come la “vendetta di sangue” dei 47 ronin (i samurai privi del signore, simili a onda che s’infrange a riva). Erano costoro al servizio del daimyo (il signore) di Ako che prestava incarico alla corte del bakufu (il governo al cui capo era lo Shogun), nel castello di Edo. Il 21 aprile del 1701 egli tentò di uccidere il maestro di cerimonie e, immobilizzato, fu condannato il giorno stesso a compiere il seppuku (suicidio rituale). Sui motivi del risentimento che lo portarono a compiere un simile gesto varie sono le interpretazioni. Sta di fatto che i suoi samurai, convinti del torto subito dal loro signore e sentendosi in dovere di ripararlo, circa due anni dopo (il 30 gennaio del 1703) assalirono la residenza del maestro di cerimonie lo uccisero e ne portarono la testa al tempio di Sengakuji dove era stato sepolto il loro signore. Paghi della vendetta espressa si consegnarono alle autorità e furono condannati a morte. Fu loro consentito, però, di compiere collettivo suicidio ed essere anch’essi sepolti accanto al loro daimyo di Ako…                                                                                                

Così Flavio ricostruisce non tanto la vicenda in sé, a cui dedica una rapida sintesi, ma l’impatto che ebbe nel corso dei secoli con interpretazioni in contrasto fra loro e in rapporto con l’epoca e le circostanze, tramite testi e opere teatrali fino al moderno uso di film e televisione, appunto nell’evolversi della cultura del Giappone, della sua storia, sempre preservando il forte sentimento dell’onore e della fedeltà quali metro di giudizio. E qui sta la ragione per cui ci volgiamo alla terra del Sol Levante, con la mente ed il cuore, cercando di renderla “nostra”…

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