La autostrade dalla controinformazione
Recentemente l’economista Ilaria Bifarini ha pubblicato sul suo sito un interessante articolo che evidenzia come le persone tendano sempre più ad utilizzare delle “scorciatoie mentali” per analizzare le informazioni e prendere velocemente delle decisioni. Tale fenomeno è facilmente visibile su internet e in special modo sulle reti sociali, dove il flusso di informazioni è continuo e pressoché infinito. Queste scorciatoie generano dei blocchi tanto nella singola persona che nel gruppo di riferimento che essa si è scelta, soffocando ogni spinta al cambiamento, non aumentando il livello di conoscenza e consapevolezza e manifestando, infine, lo spirito della tifoseria e della legge tribale. Prendiamo questa lettura di carattere psicologico-sociologico e proviamo ad integrarla in un contesto più ampio. Dalla psiche bisogna necessariamente approdare all’anima e poi allo spirito!
Sono trascorsi già diversi anni, non serve farne il conto, da quando, all’informazione ufficiale, si è contrapposta una linea che ha cercato di smascherare gli inganni di cui eravamo vittime, di colmare i vuoti lasciati di proposito, di portare verità laddove si accumulavano menzogne. A questo sforzo divenuto sempre più esteso e capillare grazie soprattutto all’utilizzo della rete, è stata data la facile etichetta di “controinformazione”, etichetta che ancora molti non rinnegano, ma che potrebbe essere abbandonata per la più veritiera “corretta informazione”.
Se giudicassimo la pianta dai suoi frutti, diremmo subito che è sana e resistente, ma ci pare, questa, un’analisi un po’ affrettata e superficiale. Qui non si vuole sminuire o criticare chi si è prodigato per far conoscere molte verità altrimenti taciute, ma è necessario uno sguardo più in profondità per affrontare l’urto di forze che sono “al di là dell’uomo”.
Una valigia di informazioni non fa un’Idea. E solo le Idee cambiano gli uomini! Le notizie verificate e le analisi scomode hanno costruito una griglia per comprendere aspetti della realtà in cui viviamo. Tuttavia si è rimasti sul piano prettamente politico, sociale, scientifico; concetti che viaggiano su di un’asse orizzontale, comprensibili e ragionevoli se dall’altra parte vi è qualcuno con la giusta apertura mentale. Comprensibili, perciò “masticabili” e “controllabili”. E quando la mole di queste informazioni è divenuta ingombrante, ecco che ognuno se n’è ritagliata un pezzetto, scegliendo quella parte più accomodante e scartando quelle più critiche. Ci si è divisi in gruppi, fazioni, conventicole, come qualunque altro agglomerato sociale di questa desolante epoca. Ogni gruppo porta avanti la sua “piccola battaglia” ed evita maldestramente la rotta degli altri. Non è necessario portarne qui l’elenco, purtroppo assai lungo, ormai. Cosa è mancato, allora? La risposta, solo in apparenza semplice è: il collante. E questo collante può prendere molti nomi: Cultura, Spirito, Iniziazione tradizionale, Nuovo Immaginario. Qui ne utilizzeremo uno che tutto comprende e che lascia spazio alla quintessenza delle idee, al Mistero; è mancato l’Universo mitico nel quale collocare ogni cosa al suo posto e nel quale ogni cosa intravista solo in bianco e nero e coi contorni sfumati, prende finalmente colore e si fa nitida. Sono mancate sì, la vera e onnicomprensiva Cultura e una sincera spinta per la restaurazione di un’Arte tradizionale; il profondo e lancinante desiderio di essere “liberati”, strappati dalla prigione dell’anima in cui ci hanno gettato. È mancata la Visione, sono mancate, in fondo, le Idee.
«Comunicare è da insetti: esprimerci ci riguarda», sono le parole taglienti, ma terribilmente vere di Manlio Sgalambro, filosofo bizzarro e poetico allo stesso tempo. La Parola evoca, non comunica semplicemente. Noi abbiamo imboccato la corsia della comunicazione “ostinata e contraria” a quella dei poteri costituiti fidando che essa bastasse. Ignari e ingenui, abbiamo dimenticato che i concetti e le analisi maturano il loro spessore solo all’interno di un universo organico che si completa nel Mistero e nella sfuggente armonia che solo l’Arte genuina e la Metafisica ci restituiscono. Chi “ha veduto” è disposto a perdere qualcosa, finanche la vita stessa, perché ha trasceso il suo piccolo Io. E la scala per la visione è faticosa da ascendere. Bisogna posare i calzari e non temere le altezze. Lasciarsi acculturare – iniziare sarebbe il termine appropriato – per acquisire la dimensione di persone che codificano e generano un “mondo totalmente altro”. È il sostare, umile e silenzioso, il ruminare e trattenere dentro di sé, prima del balzo. La visione è sintetica, unitaria, è l’unica forza che genera un’azione efficace.
Abbiamo invece costruito la nostra identità attraverso queste informazioni e dentro i “gruppi” che le condividevano, cercandola perciò fuori di noi. Ma il percorso ha da essere inverso, e spinge verso la più inconfessabile interiorità. Abbiamo dato una risposta che non domandava troppo sforzo, per vincere la solitudine, acquietandoci nelle cerchie e nelle conventicole; eppure la solitudine è una realtà archetipica che non deve essere vinta, ma scoperta e abbracciata. Si è soli perché unica e irripetibile è la nostra chiamata, si è soli perché in questa landa brulicante e chiassosa che è la Terra, siamo stati precipitati e l’anima si strugge di sacra nostalgia e lotta per riconquistare la Celeste Unione. E in questa consapevolezza, che diviene forza, sta la vera libertà che non ci fa indietreggiare di fronte alle parole di Verità, quelle che, sole, ci aprono orizzonti e mondi.
Una strada a quattro corsie attraversa campagne irregolari; in una direzione le auto intasano le carreggiate, mentre dall’altra, poche strisciano veloci sull’asfalto. Nessuna si ferma o rallenta, gli occhi fissi in avanti. L’informazione è come un sistema duale, con direzioni opposte. Occorreva guardare attraverso i finestrini, fermarsi sul ciglio e poi spingersi fra i campi, su per i boschi. Avremmo scoperto un mondo, aperto lo sguardo ad una piena Visione e lasciato che la Realtà – che è infinitamente più grande di noi – si esprimesse, e noi potessimo finalmente replicare col giusto linguaggio. All’imbrunire, avremmo acceso fuochi in una radura, mangiato cibi nuovi, intonato canti antichi; invece continuiamo a correre, chiusi nelle nostre auto coi finestrini alzati, e l’aria, si è fatta, intanto, davvero pesante.