L’eretico Modigliani

 

L’eretico Modigliani

Livorno omaggia Amedeo Modigliani in occasione dei prossimi cento anni dalla sua morte con la mostra “Modigliani e l’avventura di Montparnasse, Capolavori dalle Collezioni Netter ed Alexandreal neonato Museo della Città dal 7 novembre al 24 gennaio 2020.

Amore e morte, la tragedia si consumò in una manciata d’ ore tra il 24 gennaio 1920 ed il giorno seguente con un’overture al 22 quando il vicino di casa irruppe nel piccolo alloggio di Modì trovandolo in coma, disteso sul letto con accanto Jeanne. Lui morì a 35 anni all’Hôpital de la Charité di Saint Ėtienne, diagnosi meningite aggravata dalla tubercolosi, la sua promessa sposa, Jeanne Hébuterne 21 anni, il 25 si getterà dal quinto piano dell’appartamento paterno in rue Amyot, muoiono sul colpo lei col bimbo maschio ch’ aveva in grembo al nono mese. La morte è il ritratto svelto d’ una vita, il riassunto è nell’epilogo ristretto in un pugno. Patti Smith dedicherà a Jeanne Dancing Barefoot: “lei è dipendente da te/lei è il collegamento radicale/lei si sta collegando con lui/[..]lei è ri-creazione/lei, intossicata da te/lei ha la strana sensazione che/lui stia lievitando con lei”. Medea si reincarna in “Noix de coco” (noce di cocco) nomignolo della bellissima Jeanne per il candore del suo volto esotico illuminato dall’azzurro degli occhi, incorniciato dai lunghi capelli castani. Lèon Indenbaum, scultore russo, amico di Amedeo descriveva così la coppia: “A tarda notte lo si poteva sorprendere, sulla panchina di fronte alla Rotonde, a fianco di Jeanne Hébuterne silenziosa, emaciata, esile, le lunghe trecce sulle spalle, pura, amorevole, vera madonna accanto al suo dio…” Si erano conosciuti al carnevale del  1917, lei frequentava l’Académie Colarossi, fu colpo di fulmine, Jeanne classe 1898 aspirante pittrice di sicuro talento, lui livornese dell’84 sbarcato alla Gare d’Orsay nel 1906 con in valigia la fame di diventare un grande artista. Fu fame più che fama per parecchi anni, scatole di sardine e vino, assenzio, hashish nelle notti al boulevard de Montparnasse, sulle poltroncine rosse della Rotonde friggitoria di artisti e letterati. Amedeo e Jeanne furono due eretici “maledetti” per la vulgata degli stereotipi coniati dalla normalità che adora il sublime dell’abisso ma giudicandolo pericoloso se ne sta seduta sulla poltrona della morale. Jeanne, per quell’amore, aveva tagliato netto con la famiglia e purtroppo anche col suo talento, timidamente pigolante sotto la lava creatrice di quel toscanaccio malato ma geniale. Gli aveva dato una figlia quand’erano a Nizza ma il babbo distratto non aveva registrato all’anagrafe la sua piccola Jeanne, crescerà con la nonna paterna dopo il’25. Lo aveva curato, seguito nella burrasca di una vita di stenti, condita di baruffe per i suoi tradimenti, eppure mano nella mano erano arrivati sulla soglia del meritato riconoscimento, anche economico, di quell’arte intinta di simbolismo africano, uno stile unico quanto eretico dalle avanguardie (le radici di Amedeo erano nella Rinascenza toscana), eppure si lasciarono spegnere come candele consunte in rue de la Grande Chaumière dove risiedevano dopo il ritorno a Parigi. Quel livornese di buona famiglia, finita in bancarotta, si dice partorito sul letto pieno di cianfrusaglie mentre gli ufficiali giudiziari sequestravano il mobilio, malaticcio cronico non arruolato alla scuola, grande disegnatore nelle lunghe ore domestiche, salito alla Ville lumière ce l’aveva messa tutta per salvare il suo sogno, lavorava velocissimo per non far spegnere l’atto creativo, rubare la bellezza che mai prescinde dall’estasi del dolore per ghermirla.

In quelle orbite vuote, azzurrine senza iride, dalla natura s’immergeva nell’anima del soggetto per partorirla sulla tela alla ricerca affannosa della Verità nelle verità, facendo tesoro della cultura sapienziale di ebreo sefardita trasmessagli dal coltissimo nonno e da mamma Eugénie Garsin. “Je suis Amedeo Modigliani. Juif” affermava con orgoglio e scavando attorno a questa radice si potrebbe costruire un suo profilo autentico liberandolo dalla buccia di pittore maledetto, operazione già avviata da sua figlia Jeanne e a guardarci bene con studio, senza pregiudizi, scopriremmo un Modigliani eretico anche nella comunità ebraica degli artisti parigini votata al modernismo, all’invisibilità delle radici, Chagall escluso.

Per l’Amedeo “ebreo patrizio”, non esisteva la dicotomia rigida anima-corpo, l’uomo è un tutt’ uno, indivisibile seguendo la teologia ebraica, ecco la chiave di lettura dei suoi tantissimi ritratti, di quei nudi troppo nudi che suscitarono scandalo moralista e la chiusura dopo pochi minuti della sua prima mostra alla Galleria di Berthe Weill, anche i nudi di Michelangelo conobbero censure e braghettoni. 

Ma torniamo indietro al 22 gennaio del 1924, la porta forzata dell’alloggio-studio di Amedeo e Jeanne apre le quinte sull’ultimo atto, i due amanti stanno coricati a letto, l’una accanto all’altro, disordine, sporcizia, tanfo sono metafisiche presenze di un epilogo romantico. Lui è divorato dalla febbre, ormai è in coma, lei cerca di riportarlo dall’Ade a riabbracciar la vita perché “forte come la morte è l’amore” recita il Cantico dei Cantici, ma non più forte e lì è la sua sconfitta. Le resta una sola possibilità sacrificarsi per lui, con lui, precipitando nell’abisso. Ogni amore assoluto, autentico, profondo è sacrificio di sé ma di quel piccolo innocente schiacciato nel ventre chi può giustificarne la morte? Nessuno.

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