Zingaretti, campione del nulla
Non capisce. Proprio non ce la fa. Il governatore del Lazio, nonché segretario del Partito Democratico, Nicola Zingaretti non riesce, in nessun modo, a comprendere i bisogni reali dei cittadini, siano essi del Lazio, dell’Emilia o di qualunque altra Regione italiana. Chiuso com’è nei suoi lussuosi uffici, Zinga continua a prendere cantonate, con la conseguenza di ricevere, poi, sonore bastonate dai suoi alleati di governo, Di Maio e Renzi.
A dire la verità, il fratello del commissario Montalbano sembra quasi cercarsele. E, invece, no. I suoi errori, le sue continue “gaffe” sono figlie della sua lontananza dalla comunità, dal fatto di rapportarsi solo e soltanto con una élite inutile e salottiera. Non si spiega altrimenti, ad esempio, come se ne sia uscito con la richiesta di una nuova agenda del governo Conte-bis, che parta – udite udite – “da ius culturae e ius soli”, che rappresentano “una scelta di campo del Pd”. Applausi scroscianti dalla platea, ma solo perché Zingaretti stava chiudendo, a Bologna, l’evento piddino “Tutta un’altra storia” e, dunque, la claque era assicurata. Ma tra i dirigenti e i ministri del suo partito si è scatenato il panico. Già, perché in quelle stesse ore Venezia e mezza Italia stavano affondando sotto la pioggia e Conte stava “combattendo” con l’Ilva, per cercare di tenere in vita l’azienda e salvare il posto di lavoro a decine di migliaia di persone, indotto compreso. E lui, l’ineffabile Zinga pensava a ius culturae e ius soli, dei quali al cittadino non importa assolutamente nulla.
Così, è stato facile per Di Maio parlare di “sconcerto” per le parole del segretario del Pd. Eppure, Zingaretti non è apparso turbato: grandi sorrisi a tutti, strette di mano e spallucce per la tirata d’orecchie di Di Maio.
Asserragliato nel suo fortino, insomma, il discepolo di Bettini va avanti senza tentennamenti: dritto verso nuove, più cocenti sconfitte. Già, perché Zinga ha in comune proprio con Di Maio la capacità di non imparare niente dalle lezioni impartite dagli elettori. Di Maio, in un anno e mezzo, ha bruciato milioni di voti e ha portato il Movimento Cinque Stelle sull’orlo dell’irrilevanza politica. Zingaretti sta provando a fare altrettanto: la sconfitta in Umbria, una vera e propria disfatta, sembra non esserci stata e lui si prepara a un’altra batosta, stavolta in Emilia Romagna, dove si voterà il 26 gennaio. Per evitare la catastrofe, che probabilmente sarebbe anche la tomba del Conte-bis, Zinga dovrebbe invertire rotta, comprendere che l’accordo con i Cinque Stelle è mortale per entrambi (anche perché a detenere le azioni più pesanti dell’esecutivo non è lui, ma Matteo Renzi, che minaccia un giorno sì e l’altro pure di staccare la spina, se non si fa quel che dice lui) e, dunque, schierarsi al fianco di Bonaccini, attuale presidente dell’Emila Romagna, senza alleati ingombranti e dannosi, nella corsa alla riconferma.
Questo farebbe un politico saggio e coraggioso, anche a costo di veder cadere il governo Conte bis. E, invece, niente. Zinga rilancia proposte inutili, come ius culturae e ius soli, che peraltro non verranno mai approvate nel breve periodo, e vivacchia, tra uno schiaffo e l’altro di Di Maio e Renzi.
I cittadini, però, non sono stupidi e hanno ben compreso che, oltre all’incapacità del segretario Pd, a tenere in vita il Conte bis c’è la paura del voto nazionale, che premierebbe Salvini e manderebbe a casa tutta l’allegra compagnia che sostiene l’attuale esecutivo. Perciò, potranno rinviare, potranno far finta di andare d’accordo, potranno tirarla avanti ancora un po’, ma alla fine saranno travolti dal voto popolare: Zinga, Di Maio e Renzi andranno a casa. E, stavolta, ci auguriamo per sempre.