Per l’ILVA si usa il codice penale del 1930

 

Per l’ILVA si usa il codice penale del 1930

L’aggrovigliata questione dell’ILVA si è spostata nelle aule giudiziarie, per ricorsi e controricorsi riguardanti l’applicazione e l’interpretazione delle clausole del contratto di affitto dell’impianto, con correlato impegno a sistemare la situazione ambientale della località tarantina dove è collocato l’impianto siderurgico, stipulato un anno fa dalla multinazionale “Arcelor Mittal”.

Ma ora a queste vicende contrattuali si è aggiunta l’iniziativa della Procura della Repubblica di Taranto la quale, dinanzi alla volontà di spegnimento degli altiforni e quindi del blocco dell’impianto (è noto che la riaccensione degli altiforni richiede mesi e può anche comportare danni irreparabili agli stessi) – ipotesi al momento sospesa dalla Mittal – ha ritenuto che ricorra la fattispecie dell’art. 499 del Codice Penale italiano.

Cosa dice quest’articolo? Ecco il testo:

“ Chiunque, distruggendo materie prime o prodotti agricoli o industriali, o mezzi di produzione, cagiona un grave nocumento alla produzione nazionale o fa venir meno in misura notevole merci di comune o largo consumo, è punito con la reclusione da tre a dodici anni e con la multa non inferiore a 2.065 euro.”

Quest’articolo è il primo del Titolo VIII del Codice Penale intitolato “Delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio” e s’ispira alla concezione nazionale dello Stato in cui anche la produzione economica rientra nei beni da tutelare perché attiene all’indipendenza e alla sovranità dello Stato e al benessere dei cittadini.

E’ forse il caso di sottolineare che questa norma fu redatta nel 1930 a cura del giurista nazionalista Alfredo Rocco, autore di quei Codici che pur essendo definiti “fascisti” (recano infatti oltre a Rocco la firma di Mussolini…) sono tuttora sostanzialmente vigenti nella loro struttura, tranne qualche eliminazione e qualche aggiunta.

Cosa vuol dire ciò? Che nel momento in cui si palesa un grave danno all’economia nazionale (perché la chiusura di un’acciaieria come quella di Taranto che è la principale in Italia e la seconda in Europa danneggia non solo i lavoratori dipendenti e dell’indotto ma tutte le imprese metalmeccaniche e affini che devono utilizzare l’acciaio per i loro prodotti e anche quella parte di esportazione che verrebbe meno aggravando la bilancia commerciale) si deve necessariamente ricorrere a quelle norme che già avevano previsto situazioni simili.

Non sappiamo certamente quale sviluppo avrà questa iniziativa, probabilmente resterà come una minaccia latente per fare una pressione politica: ma è singolare che, mentre si diffonde un artificioso antifascismo di ritorno, si debba poi ricorrere a norme “fascistissime” come questa per cercare di frenare una perdita.

Ma, sempre riferendosi alle norme vigenti, vorremmo ricordare con l’occasione anche gli articoli 42 e 43 della Costituzione, che anch’essi sono d’ispirazione fascista, i quali stabiliscono come “la proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale” (come indicato dall’art. 841 del Codice Civile, anch’esso a firma Rocco…); e che “ai fini di utilità generale la legge può trasferire allo Stato determinate imprese che abbiano carattere di preminente carattere generale”.

Insomma, tutto concorda nell’indicare che quel bene – costituito a spese del denaro pubblico, lo si ricordi, perché finanziato dall’Ente di partecipazione statale “Finsider” – o viene amministrato da un’impresa acquirente o concessionaria, o viene gestita direttamente dallo Stato che ne assume la proprietà totale o parziale. Da ricordare, a questo proposito, che il succitato articolo 43 della Costituzione parla anche di “comunità di lavoratori o di utenti” che si potrebbero costituire ad hoc. Vedremo quali sbocchi avrà questa importante vicenda che ha risvolti politici, economici, sociali.

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