Le sporche mani di Washington dietro le rivolte in Medio Oriente
Le proteste e le violenze , verificatesi in Iraq, in Iran e in Libano in queste ultime settimane, hanno una stretta correlazione con quanto accade nel resto del Medio Oriente: l’invasione e la guerra terroristica contro la Siria, l’occupazione della Palestina per mano di Israele, la guerra di aggressione contro lo Yemen da parte di una coalizione guidata dall’Arabia Saudita, le pressioni degli USA contro il Libano, così come la sobillazione contro la Repubblica islamica dell’Iran, sono tutti fatti collegati alla medesima strategia del caos.
Bisogna considerare che gli Stati Uniti e i loro alleati regionali, vale a dire il regime israeliano e l’Arabia Saudita sono i veri mandanti di “tutti questi piani di destabilizzazione e invasione” che subiscono molti paesi da circa 70 anni.
Visti i continui progressi fatti dall’Iran nella difesa della sua sovranità, le forze ostili alla nazione persiana, impossibilitate ad un attacco militare diretto, hanno cercato nuovi sistemi di destabilizzazione contro i governi e i territori situati vicino all’Iran. Questo piano B, messo in atto dall’elite di Washington, ha l’obiettivo di indebolire l’asse della Resistenza costituito da Siria, Iran, Hezbollah libanese e l’Iraq sciita.
E’ risultato evidente il ruolo svolto dagli Stati Uniti nelle recenti proteste popolari iniziate in Libano da fine ottobre, in risposta al piano dell’ormai dimesso Primo Ministro Saad Hariri di imporre tasse sull’uso di WhatsApp. Il progetto è stato revocato ma le manifestazioni sono continuate con l’intervento di agenti infiltrati per provocare violenze contro le forze di polizia. L’intervento deciso di Hezbollah che ha denunciato il pericolo che tali manifestazioni vengano strumentalizzate dai nemici del Libano, ha contribuito a contenere le rivolte.
Uno dei primi obiettivi del piano USA è l’Iraq, paese già devastato da una guerra e dal terrorismo, ancora in parte occupato da forze USA e dei loro alleati, considerato troppo vicino all’Iran, il nemico n. 1 degli USA e di Israele. Contro questo paese si è cercato di concretizzare una delle tante “rivoluzioni colorate” sfruttando il malcontento popolare causato dalla crisi economica. Gli agenti provocatori prezzolati da Washington e da Rijad sono corsi all’opera per attaccare edifici pubblici, il consolato iraniano e uccidere militari delle forze di sicurezza e dimostranti, secondo la tecnica della CIA atta a provocare una guerra civile.
E’ necessario ricordare che nell’area del Kurdistan iracheno, ci sono basi militari con personale americano e truppe tedesche che addestrano le milizie Peshmerga e costituiscono una pressione permanente sul governo iracheno.
Queste milizie ancora oggi rappresentano un pericolo, non solo contro l’Iraq ma anche contro il vicino Iran, che lo scorso luglio, attraverso la Forza Terrestre del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica, ha effettuato un’operazione contro basi di formazione di gruppi terroristici nel Kurdistan in Iraq.
Il governo iracheno, nonostante le forti pressioni contrarie di Washington, ha rafforzato le relazioni con l’Iran. Tra l’altro, è stato riaperto il passaggio di frontiera tra l’Iraq e la Repubblica araba siriana. Baghdad ha avviato contatti con la Russia per l’acquisto di varie attrezzature militari, incluso il sistema missilistico S400. Sono stati organizzati incontri di coordinamento politico e militare, nella lotta contro il terrorismo, tra i governi di Iraq, Siria e Iran. Sono stati firmati accordi economici con la Cina.
Baghdad ha anche denunciato gli attacchi perpetrati contro le Unità di mobilitazione popolare dell’Iraq dalle forze sioniste, che hanno ucciso alcuni ufficiali di questa forza che si è distinta nella lotta contro il terrorismo.
Risulta evidente che “gli eventi sono stati progettati dal nemico per seminare discordia e per dividere il fronte della resistenza ma questa strategia adottata non sarà efficace”, ha detto il leader iraniano, l’Ayatollah Ali Khamenei, dopo i primi giorni delle violenze. “Iran e Iraq sono due nazioni in cui gli episodi di violenza sono progettati per dividere entrambi i popoli, ma hanno fallito e la loro cospirazione non riuscirà a raggiungere gli obiettivi. Questo collegamento diventerà più forte di giorno in giorno “, ha proseguito.
Le recenti proteste in Iraq erano considerate giuste anche dal governo: maggiori possibilità di lavoro, sostegno contro l’aumento del costo della vita e lotta contro la corruzione, erano richieste legittime, ma questo non giustifica in alcun modo azioni che hanno comportato la morte di alcune centinaia di persone e che dimostrano che dietro queste mobilitazioni c’era un piano di destabilizzazione estraneo alle riforme necessarie.
La mano occulta dei servizi di intelligence di Washington ha lasciato tracce in ogni azione scatenata contro l’Iraq. Non è un caso che gran parte dei Twitter per l’80% proveniva da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait.
L’Iraq rappresenta un ricco bottino di petrolio e gas: infatti dall’invasione iniziata il 20 marzo 2003, gran parte dei giacimenti petroliferi di questa nazione è finita nelle mani delle grandi multinazionali degli USA e dell’Occidente.
Niente cambia nelle strategie dell’Impero USA: continuare a mantenere i popoli sottomessi e saccheggiare le loro risorse.