Ugo Spirito e la critica della democrazia [3]

    

Ugo Spirito e la critica della democrazia [3]

Il mito della democrazia, incapace di rinnovarsi, si svuota di ogni contenuto positivo; la democrazia, scrive il filosofo, non significa più nulla e non riesce ad alimentare nuove energie: «La crisi è evidente anche se non conclamata. Quando la crisi si chiama vuoto, può non apparire manifesta, e perciò è suscettibile di un prolungamento e di un aggravamento di grandi proporzioni». Sono parole profetiche se si pensa che furono pronunciate nel 1963, quando la partecipazione alle elezioni aveva in Italia percentuali record rispetto a tutto l’Occidente e la prima repubblica e il consociativismo ideologico catto-comunista sembravano godere, nonostante tutto, di stabilità, se non di salute. Invece Spirito già intravedeva la perdita di interesse per la partecipazione politica e per gli stessi temi politici; e lo vede soprattutto in coloro che studiano e quindi avvertono i propri limiti e la propria incapacità a risolvere i problemi. Si tratta, come è evidente, di una vera e propria profezia sulla rivolta studentesca che di lì a un lustro segnerà, nel bene e  nel male, una nuova epoca.

Per riempire il vuoto che la politica sta aprendo, occorre tornare a chiedersi quale sia la vera natura del soggetto umano operante politicamente. Soprattutto, scrive il filosofo, occorre convincersi che si è all’inizio di una nuova epoca e che essa rappresenta prima di ogni altra cosa l’inizio di una nuova concezione dell’uomo. Spirito contesta la concezione univoca dell’uomo, che le varie Carte dei diritti vorrebbero cristallizzata da sempre e per sempre: «nel tempo una trasformazione radicale della vita si viene effettuando, che investe lo stesso concetto di uomo e muta il significato dei caratteri e dei valori che gli si vogliono attribuire». Al punto che si può nettamente distinguere l’uomo moderno, che conosce il suo apice con gli “immortali principi” dell’89, e l’uomo contemporaneo. Il primo conosce la riduzione della persona al privato, in cui il soggetto ripiega su se stesso e l’egocentrismo si sviluppa senza limiti. Da qui tutta una serie di movimenti di liberazione contro tutto ciò che limita l’individuo, contro le istituzioni, Chiesa o Stato che siano; di qui l’esaltazione della proprietà privata e persino la concezione giacobina, superomistica, della politica. Poi, col procedere del tempo, la solitudine diverrà a poco a poco la condanna dell’uomo moderno, il quale, ripiegandosi in se stesso troverà sempre meno Dio e sempre più il vuoto. Anche perché quest’io, divenuto centro del mondo, non è definito in modo chiaro e rigoroso e il problema finisce per essere ereditato dalla democrazia moderna che deve porsi il problema di come far esprimere la sovranità dei singoli io, di definire se tale sovranità appartiene a tutti o ad alcuni. Mancando una fondazione del concetto di uomo si adottò la formula più comprensiva: tutti sovrani, tutti uguali.

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