Il (falso) ricatto dell’esercizio provvisorio

 

Il (falso) ricatto dell’esercizio provvisorio

In questi giorni, il Parlamento – Camera e Senato – è sottoposto ad una sequela di “voti di fiducia” su due norme fondamentali per la vita e le finanze dei cittadini e delle imprese, il bilancio preventivo per l’anno 2020 e il decreto fiscale che modifica alcune normative fiscali vigenti.

I voti di fiducia sono chiesti (e ottenuti, visto il forte e diffuso desiderio di una larga parte dei parlamentari di non far cadere il governo per evitare lo scioglimento delle Camere, il voto anticipato e la loro certa non rielezione) solo allo scopo d’impedire che l’accordo faticosamente raggiunto in extremis dalla coalizione “quadripartita” che sostiene il governo possa essere modificato per effetto del dibattito parlamentare e dell’approvazione di emendamenti alternativi o soppressivi di alcune norme proposte.

Insomma, il “pacchetto” portato in Parlamento deve essere approvato così com’è, a scatola chiusa, praticamente senza essere esaminato nel dettaglio. Se si vanno a leggere i resoconti parlamentari di questi giorni si vedrà che le competenti commissioni parlamentari che dovrebbero esaminare testo ed emendamenti hanno avuto pochissime ore per riunirsi, pressati a sbrigarsi dai presidenti delle Camere.

Questa è la verità, ma il voto di fiducia viene mascherato con l’affermazione che esso serve ad evitare il ricorso all’ ”esercizio provvisorio” in mancanza dell’approvazione del bilancio entro il 31 dicembre. E ciò fa scrivere commenti allarmati da parte dei media, come se improvvisamente il 1° gennaio lo Stato si fermasse in tutti i suoi aspetti.

E’, questa, un’altra di quelle affermazioni terroristiche e paralizzanti, simile a quella di “ce lo chiede l’Europa”, utilizzate a vantaggio del governo. Ma cos’ha di tanto pericoloso l’esercizio provvisorio?

Ricordiamo innanzitutto che esso è regolamentato dall’art. 81 della Costituzione il quale prevede che le Camere, nel caso non riuscissero ad approvare in tempo il bilancio preventivo, possano autorizzare il governo a proseguire la sua attività finanziaria per un tempo massimo di quattro mesi: in questo periodo, le spese sono effettuate in ratei mensili rispetto allo stanziamento previsto nel progetto di bilancio (ossia, se l’esercizio durasse un mese, si tratterebbe solo di un dodicesimo della spesa programmata).

Norma ragionevole, anche perché non è pensabile che gli stanziamenti stabiliti nel progetto di bilancio siano tutti immediatamente utilizzati: anzi, a volte non lo sono neanche dopo anni perché mancano decreti attuativi e norme regolamentari. Si potranno quindi pagare gli stipendi, le pensioni, gli affitti, i diversi contratti in essere visto che hanno tutti, più o meno, scadenza mensile. E poi non è detto che debbano passare addirittura quattro mesi: un dibattito sereno e scrupoloso può durare anche solo quindici giorni.

Che la norma non sia una rivoluzione è confermata dal fatto che in settant’anni, dal 1948 al 2018, l’esercizio provvisorio sia stato applicato ben 33 volte.

Quindi, se si autorizzasse il governo all’esercizio provvisorio ci sarebbe tutto il tempo per esaminare con attenzione il progetto di bilancio, proporre emendamenti, rettificare errori, stabilire immediatamente le norme attuative evitando l’alibistico rinvio a successivi decreti o regolamenti: soprattutto, si darebbe la possibilità alle opposizioni di inserire loro richieste, cosa doverosa visto che con le tasse pagate da tutti si decidono spese che magari privilegiano solo alcuni ambiti.

Adesso, qualche esponente dell’opposizione propone – vista l’impossibilità di discutere il bilancio – il ricorso alla Corte Costituzionale sollevando conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, visto che quello esecutivo impedisce con il voto di fiducia l’attività di quello legislativo: espediente che tuttavia ci sembra destinato a fallire, perché in caso di accoglimento della richiesta e di dichiarazione di nullità del voto parlamentare per violazione dei poteri delle Camere il bilancio non potrebbe essere applicato, causando così più danni del solo e limitato “esercizio provvisorio” (previsto peraltro, lo ricordiamo, dalla Costituzione).

Pensiamo invece che il Presidente della Repubblica, custode della legalità costituzionale, in vista di questa situazione, avrebbe dovuto inviare un messaggio – o una lettera, come ormai è abituato a fare – al presidente del consiglio e ai presidenti delle Camere invitandoli al rispetto delle procedure parlamentari, particolarmente necessarie quando è in discussione il bilancio dello Stato, Ma stavolta egli, pur essendo sempre pronto ad esprimere aulici concetti morali e politici nelle sue allocuzioni, in questa occasione tace.

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