C’è un libro Stile ribelle, scritto a due mani da Don Chisciotte e Sancho, di ricerca nello zaino di quel filo rosso-nero legato alla spoletta tessitrice dell’ordito d’ una Patria desaparecida dopo la sconfitta, succhiata nello spirito, occupata. In verità quello stile di rivolta già gonfiava le vene e la mente dei patrioti del Risorgimento a partire dal “Plutarco italiano” Goffredo Lomonaco srotolandosi fino ai “cattivi ragazzi” di Salò e oltre la ghigliottina del’45. Era un sentir forte più forte della morte il costruire la casa comune, libera, protagonista-antagonista della storia in un Paese Arlecchino servitore di troppi padroni. L’azione ha intinto nel sangue sparso a iosa dei suoi figli per dare forma a quell’idea eretica di trasformare una Cenerentola di toppe in principessa riverita dall’Europa.
Così “Peppe il matto” o “Zambo”, il vàgero Lorenzo Viani o Giuseppe Terragni tanto per fare esempi, erano carne di quello stile ribelle, stesso brand anche se uno presidiava il Secolo d’Italia a via Milano e l’altro era morto affrescando il Collegio degli orfani a Ostia Lido, uno dormiva nella sezione “raggiata” di Colle Oppio, l’altro combatteva con cieca fede di vittoria sul fronte russo, ma identica era la dignità aristocratica, l’incedere fermo, senza compromessi, come il celebre cavaliere di Albrecht Dürer.
Nell’ultima sua intervista quel cataro pungente di Guido Ceronetti questo affermava: “Sono un patriota orfano di Patria. L’Italia è il regno della menzogna” detto da un antifascista con una “cotta” passeggera per il P.C.I., è una verità oggettiva, fotografa un fatto, fulmina le coscienze e la perduta memoria, fotografa la dissolvenza dell’Italia da Patria a nicchia dell’ego, favo impazzito di api bugiarde (l’ultima menzogna servile è il MES).
Nessuno è più antitaliano di un italiano, rifletteva amaro sempre Ceronetti, le cellule invece di comporre un tessuto pregiato, s’incarogniscono l’un contro l’ altra, sempiterna Prova d’orchestra di Fellini e mai forse è stato così attuale l’apologo di Menenio Agrippa sulle membra del corpo in bello civile, ciascuna mercanteggia nella propria bottega, talché il corpo stesso esplode in milioni di “io”, “io” questuanti di diritti, in ossessiva ricerca di 15’ di visibilità secondo un aforisma di Andy Warhol.
Forse c’è una data più decisiva, per il necrologio patrio, del 25 aprile del ’45, fu il 3 gennaio del 1947, il Primo Ministro Alcide De Gasperi volò negli U.S.A., i santi a stelle e strisce col piano Marshall gli fecero ò miracolo invocato, staccando un assegno di 50 milioni di $ per la ricostruzione dell’Italia. Il suo fu il viaggio del pane e del carbone in cambio d’un’obbedienza assoluta alla politica espansionista americana. In quell’assegno grasso c’era la finis Patriae, legata mani e piedi al FMI, alla Banca mondiale, a cosce ben aperte al libero mercato dello zio Sam. Fu inaugurato the prone style, già spogliati di territori e colonie, afflitti dalla fame tra le macerie dei bombardamenti con una guerra civile che ancora oggi spacca l’Italia, parve l’unica scelta obbligata bussare al portone del Congresso a Washington mettendosi debitamente in fila col cappello in mano.
Questa cessione di sovranità nazionale, unica in Europa, ha cancellato progressivamente l’idea di Patria nel linguaggio, nella riscrittura della storia, nell’educazione delle coscienze nelle nuove generazioni, eravamo cittadini di confine della guerra fredda, Moby Dick contro l’Armata rossa.
La domanda forte è: l’Italia è (oggi) un’espressione (solo) geografica? Come affermò il conte K. von Metternich l’anno prima del mitico 1848. La risposta è sì, anzi squalificata pure nella lingua se i nostri studenti wi fi non comprendono un tubo di ciò che leggono.
La lagna è un altro nostro difetto capitale, il pronismo lamentoso dei servi in cerca di prebende, l’Italian show è questo, l’io speriamo che me la cavo del maestro Marcello D’Orta pur tra i mille impicci della vita.
E allora? Si può costruire la Resilienza italiana, termine che esprime la capacità di un individuo o di una comunità di saper fronteggiare una situazione esistenziale negativa, acuta, resistendo ai colpi di maglio della stessa per conquistare una condizione nuova di equilibrio avendo fatto scaltro uso delle possibilità che la situazione stessa contiene. E’ trincea e assalto, difesa e attacco ragionato, magari, perché no, costruendo il mitico cavallo di Troia ma col legno del nemico. Al ribelle oggi si adatta lo stile resiliente in continuità ideale con quello dei tanti eroi muti che hanno costruito la Patria. Cambiano metodi, strategie, strumenti, la storia scorre velocissima governata da un Mogollon (mostro dell’Arizona) insaziabile, offrire sacrifici è inutile ne pretenderebbe sempre altri, meglio attendere la notte per incendiare Ilio.