Tolo Tolo – La tastiera batte dove il dente duole
Avrei voluto parlare di ciò che è accaduto a Baghdad, e delle affermazioni di alcuni sovranisti nostrani, ma c’è troppa rabbia, lo lascio fare ad amici più competenti, e magari più pacati, meglio stemprare gli animi, scendere nel ludico, nell’amarcord, cinema, musica e un po di pruriginoso.
Parliamo (di nuovo) del tanto chiacchierato film di Zalone, Tolo Tolo. Ci siamo inutilmente accapigliati prima di vederlo divisi in tifoserie, (come sempre) litigando praticamente sul nulla, la stampa appecoronata alle sinistre fuxia si aspettava un film di propaganda nazista, i più smaliziati, quelli che conoscono come funziona il mondo dell’intrattenimento, d’altro lato si aspettavano il solito film buonista pro-accoglienza tout court. Come descritto magistralmente da Marcello Veneziani: «Checco Zalone non ha fatto una scelta di campo e in Tolo Tolo non manifesta alcuna fobia per i neri, gli sbarchi e i migranti né strizza l’occhiolino a Salvini, (..) mescola notazioni “scorrette” ad altre di segno opposto, è la sua miscela vincente e scaltra, (..) al contrario dei suoi critici stupidamente intelligenti, lui è intelligentemente stupido».
(Se non avete ancora visto il film vi avverto che le note a seguire contengono spoiler)
Le parti più trash? Un Checco versione Duce, innescato dal suono del monolite di 2001 odissea nello spazio, e la canzoncina pruriginosa “Gnocca d’africa” dove ogni presunto razzismo si dissolve davanti alla faccetta nera, da riportare a Roma, liberata. Il razzismo in Italia non ha mai attecchito, e se oggi fa tanto scalpore è perché è utilizzato per fini economici, per far scaturire una guerra tra poveri, per indirizzare la legittima rabbia delle periferie urbane non verso i potenti, ma verso chi come loro per questi potenti è solo carne da macello.
Nel 1967 il grande Pino Caruso cantò una delle canzoni più belle del repertorio del Bagaglino, testo di Pier Francesco Pingitore, musica di Dimitri Gribanowski, “Il Mercenario di Lucera” un vero inno rivoluzionario contro il liberismo, l’Onu, e l’opportunismo della Chiesa. Nel testo si leggeva: «Ho amato una ragazza di razza Congolese, ma l’ho perduta ai dadi con gimmy l’Irlandese.» Possibile che in un’epoca di lobby gay, di sessualità “alternative” il maschio italico sia ancora quello rappresentato nell’immaginario collettivo da un vecchio presidente del consiglio, che si propone di aiutare la nipotina di Mubarak? Per Zanone si, e non solo per lui. L’ex generale di Corpo d’Armata, già comandante del 187° reggimento paracadutisti “Folgore”, Luigi Chiavarelli, in un toccante pezzo sui pregi e difetti dei militari Italiani scrive: «Strani soldati i soldati italiani, (..) Non abbiamo la fama di grandi guerrieri (..) Io, che per anni ne ho condiviso la vita posso dire, invece, che sono tra i migliori soldati del mondo (..), hanno pregi e difetti molto particolari. Ad esempio, in genere non amano la disciplina, almeno quella legata agli aspetti formali. (..) Gli Italiani amano la vita e non amano sprecarla e questa è una buona cosa, per cui se devono rischiarla vogliono sapere perché. (..) Comandare i soldati italiani è esaltante perché se sai catturarne il cuore non ti negano nulla, ti seguiranno ovunque ma catturarne il cuore non è facile. Prima di tutto non puoi importi basandoti solo sul grado, non puoi sembrare, devi essere e devi credere in quello che dici altrimenti ti “sgamano” subito e perdi ogni autorevolezza. Devi essere giusto con una leggera tendenza a far prevalere il cuore sui regolamenti e devi mostrare di saper fare tu, per primo, quello che chiedi loro di fare. (..) Purtroppo non si può negare però che il soldato italiano abbia anche un grande punto debole, che talvolta lo inguaia, gli fa perdere lucidità e razionalità: la femmina! Per una femmina, se poi è bella e gli sorride non ne parliamo, perde la cognizione del tempo e dello spazio, è un concentrato di ormoni, un frullato di testosterone pronto ad ammazzare draghi e sfidare gl’inferi per conquistare il cuore della bella castellana.»
Questi Soldati sono anche a Bagdad, in Iraq, il contingente Italiano conta quasi mille soldati, è il secondo in termini numerici degli oltre settanta contingenti che formano la coalizione internazionale. Con il brutale assassinio di Qasem Soleimani da parte degli americani, quest’ultimi sono stati invitati, anche troppo gentilmente, a lasciare il paese. Ahmad al Assadi, deputato del Parlamento di Bagdad, spiega il significato della risoluzione votata domenica per espellere i contingenti stranieri dal territorio Iracheno; vorrebbe però che gli Italiani restassero in Iraq, con il compito di addestrare i quadri dell’esercito e della polizia, perché gli italiani come sempre si fanno ben volere, magari hanno pure intrecciato qualche liaison con belle ragazze locali, come scrive Chiavarelli, sempre pronti a sfidare il Drago. Speriamo che i nostri soldati comprendano che quelle guerre, che un’imbelle classe dirigente gli fa combattere, troppo spesso sono volute dal Drago. L’Italia abbandoni immediatamente i territori di guerra imperialista, o ritrovi la sua originaria collocazione di faro. Purtroppo il sogno irrealizzabile sarebbe aiutare il popolo Iracheno a cacciare gli occupanti statunitensi dal loro territorio, e poi magari fare altrettanto a casa nostra.
Zalone nel film accenna in modo irriverente ai nostri militari, ci azzecca invece nell’analizzare pregi e difetti del popolo italico. Un personaggio secondario lo troviamo all’inizio della storia ad elemosinare un posto da cameriere: finirà a fare il vigile urbano, poi il prefetto, il presidente del Consiglio, ed infine il presidente della Comunità europea. Zalone avrà letto Montanelli, quando scriveva che gli Italiani per i mestieri “servili” non hanno rivali.
È il momento di togliere la divisa da cameriere e rimettere quella di combattenti; è il momento di far vedere alle belle castellane di ogni latitudine che non stiamo dalla parte del drago, o abbassare la cresta e tornarsene a casa.
Mentre rileggevo il pezzo mi sono reso conto di essere tornato al tema di cui non volevo parlare, succede, come diceva un vecchio proverbio riadattato all’era digitale, “la tastiera batte dove il dente duole”.