Fra scaffali e libri

 

Fra scaffali e libri

Conservo, insieme a tutte o quasi le sue opere, Rivolta contro il mondo moderno di Julius Evola nell’edizione Fratelli Bocca (1951), in copia alquanto malconcia e fatta rilegare da una famiglia di sordomuti, che frequentava la sezione del Colle Oppio. Era esposta nella vetrina della libreria Rotondi, in via Merulana, dedita a libri di vario genere, ma tutti su argomento “esoterico”. Non ricordo dietro quale suggerimento o richiamo ne trassi motivo per acquistarla. Certo fu Adriano Romualdi, un paio d’anni dopo o tre, ad organizzarmi un incontro con Evola e vi andai, in Corso Vittorio, con altri due amici più grandi di me e certo maggiormente attrezzati nel suo pensiero e decisi di correttamente averlo inteso. Tutti e tre certi, “vanitas vanitatum vanitas”, di essere i discepoli e i migliori da lui attesi e desiderati…                                                           

 (Su come si svolse quell’incontro e la sua conclusione ne ho parlato e scritto sovente tanto che, qui, non mi ripeterò. Fu una risoluzione tragicomica come, del resto, mi viene spesso da riflettere sia stata gran parte della mia esistenza. E lo scrivo con una certa civetteria pensando agli “amici” Don Chisciotte e Cyrano a me cari. D’altronde mi torna a mente uno slogan del ’68 “Vi sommergeremo con una risata”, poi vennero gli anni cupi e terribili…).                                                                                   

Oggi, accatastati i libri negli scaffali e sovente in duplice fila, sono cresciute altre e si sono formate diverse priorità come la narrativa. Io stesso mi sono cimentato nello scrivere racconti. Anche se mi mancano le energie per un vero e compiuto romanzo. Credo sotto la garbata influenza di Ugo Franzolin che, in pomeriggi davanti ad una tazza di tè, mi ammoniva a non considerare la narrativa come opera minore, facile da ideare e produrre. Nel saggio si è direttamente propositivi; nel narrare il gioco più complesso del detto non detto. Degli scritti di Evola mi è rimasto, però, un segno – uno stile ribelle – e cioè pensare in termini di confine e del suo “oltrepassamento”, di trasmutazione dei valori, per dirla con Nietzsche. E aggiungo come, mi permetto di credere, Evola si sarebbe compiaciuto verso chi non si irrigidiva verso il suo dire, ma se ne faceva trampolino per andare più oltre e ancora più avanti alla ricerca di quel “centro di gravità permanente”, caro ad esempio a Franco Battiato. Anche se nel mio caso sfiora e sovente s’azzarda a confrontarsi con il Nulla.                                                                                   

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