Sanremo, il festival del regime

 

Sanremo, il festival del regime

Come ogni anno arriva, puntuale come le tasse, il Festival di Sanremo. Un tempo festival della canzone italiana, ormai giunto alla settantesima edizione, è diventato il festival del politicamente corretto, il gran gala dei radical chic, la festa dei senza patria, degli sradicati, un’occasione mediatica fondamentale per imporre sempre di più un modello culturale e addirittura antropologico a tutti i cittadini. Il festival del regime liberista e tecno-liquido che pesa sulla vita di ognuno.

Sanremo è sempre stato lo specchio del Paese, da un po’ è diventato lo specchio di una minoranza spregiudicata, che ha conquistato quella che Gramsci chiamava l’egemonia culturale, cosicché, in barba ai gusti e soprattutto ai pensieri del paese reale, si usa Sanremo per propagandare una visione di mondo, ovviamente quella giusta, l’unica possibile; il liberismo con tutte le sue storture. Educare le masse al globalismo, ovvero diseducarle, gettare la plebe nell’agone del capitalismo culturale, espressione più vivida di quella borghesia da salotto, che non conosce il valore storico e filosofico del limite, e guidata dal più spregiudicato consumismo, intende plasmare il mondo a sua immagine e somiglianza.

L’estetica dell’orrido, l’etica dell’autodistruzione, la profanazione programmatica dell’immagine del sacro. L’incipit di Fiorello vestito da prete che simula una messa, sta a significare come si voglia profanare la dimensione del sacro, e allo stesso tempo sacralizzare quello che è bestiale, orrido, assolutamente nichilistico. Rula Jebreal, agguerrita sostenitrice del globalismo, con le sue omelie ultra-femministe. Per non parlare del celeberrimo Achille Lauro; presunto ex-spacciatore, fece scandalo nella scorsa edizione per una canzone che, a detta dei più attenti, inneggiava alla droga. Tale individuo, si è presentato quest’anno con un mantello firmato da Gucci, salvo poi denudarsi pressoché totalmente ed esibendosi in una sottospecie di calzamaglia, scimmiottando il San Francesco di Giotto. Secondo Achille Lauro il riferimento è diretto; l’uomo si spoglia dei pregiudizi, dei modelli machisti e maschilisti. Ci si spoglia della propria identità, culturale, linguistica, di sangue, ed anche sessuale, la logica è sempre la stessa. Scrive Lauro sul suo profilo Instagram: “La stupida epoca dove si doveva ostentare di essere uomo è finita. È giunto il tempo dove ognuno può essere ciò che vuole.”. La volontà del grande capitalismo è questa, distruggere l’uomo, renderlo consumatore tecno-liquido, incapace di pensare poiché in capace di mettere la propria identità (che non deve più avere) sulla bilancia conflittuale della dialettica storica.

E la musica? Ah già, dimenticavamo la musica. Ormai non conta più, la musica in questo presunto festival della canzone, è qualcosa di accessorio, ancillare. Gli orchestrali stanno da parte, attoniti vedono sfilare un’accozzaglia di “loschi figuri”, eroi dei tempi moderni, o meglio post-moderni, che con la musica quella vera, non hanno niente a che fare.

Anche sul concetto di “artista” ci sarebbe da spendere due parole. Un artista è tale se esprime con il suo lavoro una condizione esistenziale, qualsiasi essa sia. L’arte è espressione del vivere e del sognare. Questi signori più che artisti sono artigiani del potere, in quanto con il proprio lavoro essi non immaginano mondi nuovi e diversi, ma seguono pedissequamente i modelli culturali che il sistema ci impone, divenendone anzi parte integrante.

Insomma più che essere il festival della canzone italiana, Sanremo ormai è diventato una kermesse di costume borghese, un festival del regime liberista che ci opprime, e giorno dopo giorno, cerca di distruggere non già lo stato o la famiglia, ma l’uomo nella sua accezione più ampia.

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