Ugo Spirito e la critica della democrazia [10]
Sul concetto di partecipazione politica di Ugo Spirito molto incide la vocazione corporativistica che, come noto, aveva raggiunto la sua espressione più radicale con la tesi della corporazione proprietaria nel 1932. Anche l’idea che la politica effettivamente incidente sul reale debba essere una sintesi di carattere “scientifico”, rimanda all’idea di una Camera corporativa, nella quale le diverse competenze trovino una sintesi vantaggiosa per tutte le componenti del corpo sociale. Resta sospesa, tuttavia, la domanda se il corporativismo sia possibile al di fuori di uno Stato concepito organicisticamente. E resta sospesa perché Spirito è convinto della capacità della scienza di incidere sulla realtà e determinarla, cosicché il corporativismo, come tecnica, permetterà alla società di superare la visione individualistica ed egoista della persona, tipica del neocapitalismo. Il filosofo ne è a tal punto convinto da ritenere che il piano di sviluppo della società sarà un processo di unificazione al quale tutte le competenze partecipano, e nessuna in particolare. Un processo, perciò, anonimo e imprevedibile che sarà il risultato della collaborazione: «Così concepita la sintesi, essa si proietta sempre verso l’avvenire come ignoto da scoprire.
La realtà non è già rivelata come nelle religioni e nelle metafisiche, ma è sempre da porsi e da svelarsi». Il processo, detto ancora in altre parole, è quello della collaborazione sempre più estesa e organica, ma, affinché ciò sia possibile, il potere politico deve appartenere soltanto alla scienza, cioè ai competenti. Educare politicamente, quindi, o semplicemente educare, significa indurre al consenso e all’habitus scientifico, abbandonando l’atteggiamento di parte dei cui limiti si viene edotti. Educare significa per il filosofo spersonalizzare, superare la concezione atomistica di se stessi per guadagnare l’universalità, ovvero il sentirsi parte del destino di una comunità. Un’educazione che se, per la formazione di Ugo Spirito, appare limitata alla considerazione economica, comporta invece un riverbero morale e politico. Di questo, un giovane Ugo Spirito era già convinto quando, nel 1923 insieme ad Arnaldo Volpicelli, iniziò la pubblicazione della rivista «Nuovi studi di Diritto, Economia e Politica», con lo scopo di tradurre l’atto gentiliano nella concreta prassi. E di questo resta ancora convinto quando ritiene di intravvedere nella società contemporanea già in atto questo processo, segnalato, a suo avviso, dalla sempre più marcata insofferenza verso la retorica dei dogmatismi e all’esigenza sempre più forte dell’unificazione.