Exemplis Vitae: Pio Filippani-Ronconi
Classe 1920, nato a Madrid il 10 marzo, Figlio di Fulvio Benedetto Biagio Stefano Maria Filippani-Ronconi e di Anita Tamagno, famiglia aristocratica di stirpe romana-pontificia. Una vita vissuta alla ricerca delle radici, con la piena consapevolezza del ruolo storico, morale ed etico che egli doveva ricoprire. Un esempio indiscutibile da riscoprire e da approfondire seriamente.
Pio Filippani-Ronconi fu uno dei maggiori orientalisti della sua epoca, indologo per la precisione, iranista ed esoterista, eterno guerriero. Fin da ragazzino si appassionò ai miti romani e alle lingue orientali, in seguito allo scoppio della Guerra civile spagnola e alla fucilazione della madre, si trasferì in Italia con la famiglia. Ivi giunto conseguì il diploma classico al De Mérode e successivamente si dedicò allo studio universitario delle lingue indoeuropee e non solo. Nella sua vita riuscì ad apprendere e ad usare correntemente, oltre allo spagnolo, all’italiano e all’inglese, anche il tedesco, l’arabo, il turco, il persiano, l’ebraico, il sanscrito, il cinese e un po’ di giapponese, senza contare i molteplici dialetti indiani. Per questo fu più tardi impiegato all’EIAR come lettore dei radiogiornali in lingua straniera.
L’interesse per l’oriente e allo stesso tempo la consapevolezza dell’eredità spirituale di Roma, lo avvicinarono a Evola e al gruppo di Ur, quindi all’esoterismo. Su Evola, Filippani- Ronconi ebbe a dire: “…a quindici anni trovai in una bancarella “L’uomo come potenza”, di Julius Evola. Lui mi presentava un quadro per superare la miseria del sopravvivere quotidiano e dava un senso al fatto che io cercassi sempre di combattere… Dio! Sono molto cambiato da allora, eh? L’uomo come potenza, dicevo, mi apriva una concreta esperienza di ordine metafisico più che religioso, e così quei canti epici che tanto amavo acquistavano una dimensione reale: io potevo davvero realizzare quello che la tradizione indoeuropea mi proponeva. E questa fu per me una grande scoperta”.
L’etica del combattimento, la metafisica dell’esempio. Nella Seconda guerra mondiale venne il suo turno, e si arruolò volontario nel Terzo Granatieri. Fu ferito un paio di volte, poi un’altra volta gravemente il giorno dopo l’otto settembre 1943, ricoverato all’ospedale militare del Celio, a Roma. Il nove settembre Filippani-Ronconi si rese conto che quello che aveva fatto fino ad allora non era altro che lo sfogo di un giovane studioso entusiasta; quello che aveva ancora da fare era qualcosa di molto più vicino all’ideale di uomo, ovvero lavare via l’onta del tradimento. “Sono un patrizio romano – disse al reclutatore tedesco per farsi mandare al fronte – e come tale mi compete di morire riscattando la vergogna dei più”. Una scelta cavalleresca, di altri tempi, ed altre dimensioni spazio-temporali. Partecipò quindi, al grido gioioso e tetro di “Viva la Muerte!”, alla difesa del fronte di Anzio-Nettuno, dove, ostacolando gli invasori, sia pure in un’inferiorità numerica schiacciante, fu ritardata di ben cinque mesi la presa di Roma. La battaglia di Anzio-Nettuno non era solo una battaglia in difesa di Roma nella sua dimensione fisica, materiale, era una vera e propria difesa dell’eredità di spirituale di Roma, come del resto era una difesa dell’eredità spirituale indoeuropea la guerra che si combatteva in Europa, a fianco del Nazionalsocialismo, contro i barbari dell’est e i barbari dell’ovest.
A guerra finita fu recluso nel campo di concentramento di Coltano, successivamente le sue passate vicende non gli impedirono di continuare ad eccellere nei suoi studi, tanto che nel ’59 iniziò una proficua carriera accademica come orientalista. Uomo d’azione e di sapere, dopo le vicende giudiziarie legate ai fatti di Piazza Fontana, nel 2000 ormai ottantenne, iniziò a scrivere per Il Corriere della Sera, e poco subì l’effetto della solita “caccia alle streghe”. Un lettore un po’ troppo zelante infatti, si prese la briga di far notare alla redazione che un ex-SS scriveva per il principale quotidiano nazionale. Apriti cielo. Filippani-Ronconi fu immediatamente sospeso, non si lamentò, non protestò, aristocratico e superiore silenzio, ebbe a dire: “L’acqua bagna, il fuoco brucia: è il dharma, come lo chiamano gli indiani… sarebbe a dire che ognuno fa le cose con i mezzi che ha. C’è gente che striscia nel fango e non può far altro che inzaccherarti”. Lasciò questo mondo terreno l’11 febbraio del 2010.
Uomo di Azione, Spirito e Cultura, seppe elaborare una visione del sacro rivoluzionaria, lungo un percorso che si districava tra i miti dell’antichità, la stirpe indoeuropea, Roma, Costantinopoli, e via verso l’Oriente. Uomo integrale ed eterno soldato, ultimo samurai, un aristocratico da intendersi nel significato antico del termine, ovvero “dei migliori. Un esempio in tutto e per tutto. Un gigante di un’altra epoca, in un mondo di nani.