Che fine ha fatto l’estetica della musica? [6]
Nel mare esteto-fluido della postmodernità, Agostino compare come un esempio. Esempio di un modo di pensare, di riflettere, di intendere le cose e di fare filosofia, in particolare estetica, e questo è possibile perché incarna una bellezza che è tanto antica, ma allo stesso tempo sempre nuova, attuale nella sua ermeneutica e nel fascino che infonde nei cuori e nelle menti di chi lo incontra. Leggere Agostino, come si diceva all’inizio, lascia sempre, colpiti per qualcosa, perché è estremamente umano, alla portata di tutti per ciò che tratta e per il modo in cui lo fa, mai banale ma nemmeno troppo astratto e irraggiungibile. Agostino lo può leggere chiunque, anche senza una formazione nelle materie che tratta, restandone affascinato e col desiderio di scoprirne di più e andare avanti nello studio, immedesimandosi nel suo modo di pensare proprio perché lui, per primo, è stato capace di imprimere nelle parole con cui ha composto le sue opere uno spirito che trascende lo scorrere del tempo. L’attualizzazione del suo pensiero e della sua opera non è esente da critiche e difficoltà. Non si tratta di una lettura intellettualistica, preoccupata di definire in maniera esatta ed esauriente le numerose opere dell’autore, dirimendo le problematiche che vi sono contenute e che hanno suscitato, dando luogo ad una sorta di filologia della sua filosofia; questo lavoro minuzioso lo lasciamo agli specialisti delle singole discipline. Per il lettore comune, invece, c’è bisogno di far conoscere Agostino e le sue opere nella loro valenza senza tempo, quale uomo di grande cultura, fede, sensibilità artistica che percepisce le cose al di là della loro manifestazione materiale.
Nel suo modo di scrivere, nel suo stile autobiografico presente anche durante le trattazioni più metodiche e sofisticate, è possibile leggere la nostra storia, la nostra vita, il nostro modo di pensare con una facilità di paragone che è impressionante, cogliendone le tribolazioni, le inquietudini, i mutamenti, i successi e le lezioni che mai si finiscono di ricevere. Agostino è tragico, nel senso tradizionale del termine, perché riesce a portare al massimo livello di enfasi, di pathos, tutto ciò che vive interiormente, comunicandolo con maestria letteraria, da grande retore qual era, e catturando l’attenzione così da suscitare l’empatia che è propria della dimensione teatrale.
A quest’uomo straordinario si vorrebbe chiedere che cosa abbia da dire agli uomini di oggi, in un mondo che ha distanze incommensurabili rispetto a quello in cui ha vissuto lui, eppure dilaniato dai medesimi interrogativi filosofici ed esistenziali. A chi cerca la verità insegna a non disperare di trovarla. Lo insegna con l’esempio, lui che la ritrovò dopo molti anni di faticose ricerche, e con la sua attività letteraria della quale fissa il programma nella prima lettera scritta poco dopo la conversione: «A me sembra che si debbano ricondurre gli uomini alla speranza di trovare la verità»[1]; insegna a cercarla con umiltà, disinteresse, diligenza, a superare lo scetticismo attraverso il ritorno in se stessi, dove abita la verità[2]; il materialismo che impedisce alla mente di percepire la sua unione indissolubile con le realtà intelligibili[3]; il razionalismo, che ricusando la collaborazione della fede si mette nella condizione di non capire il “mistero” dell’uomo[4].
Ricorda a tutti il suo grande trinomio: verità, amore, libertà; tre beni supremi che stanno insieme e invita ad amare la Bellezza, egli che ne fu un grande innamorato. Non solo la bellezza dei corpi che potrebbe far dimenticare quella dello spirito, né solo quella dell’arte, ma la bellezza interiore della virtù e soprattutto la Bellezza eterna di Dio, da cui la bellezza dei corpi, dell’arte e della virtù discende, di Dio che è «la bellezza di ogni bellezza»[5], «fondamento, principio e ordinatore del bene e della bellezza di tutti gli esseri che sono buoni e belli»[6]. Agostino, ricordando gli anni precedenti la sua conversione, si rammarica amaramente di aver amato tardi questa bellezza tanto antica e tanto nuova, e vuole che i lettori non lo seguano in questo, bensì che amino la bellezza sempre e soprattutto conservino perpetuamente in essa lo splendore interiore, la capacità di meravigliarsi e di non smettere mai di cercare, comprendere, amare la conoscenza.
[Continua…]
[1] Cfr. A., Ep., 1, 1.
[2] Cfr. A., De vera rel., 39, 72.
[3] Cfr. A., Ret., 1, 8, 2.
[4] Cfr. A., Ep., 118, 5, 33.
[5] Cfr. A., Conf., 3, 6, 10.
[6] Cfr. A., Solil., 1, 1, 3.