Ugo Spirito e la critica della democrazia: conclusioni
Secondo Ugo Spirito, va superato il concetto quantitativo della maggioranza che esercita una violenza con il numero e non con la competenza. Il criterio della maggioranza è giudicata dal filosofo un’opera irrazionale che scaturisce dalla eterogeneità dei gusti o dagli interessi dei singoli. La “competenza” della maggioranza può essere solo quella degli strati sociali più bassi che vogliono uscire dal loro stato. Se la maggioranza fosse stata costituita dai ricchi, ritiene Spirito, la democrazia non sarebbe mai sorta. Il criterio numerico della maggioranza può produrre soltanto il dilettantismo politico, il verbalismo vuoto, il ricorso alla retorica o, potremmo dire con il linguaggio e gli strumenti contemporanei, ai selfie e alle storie su Istagram. Un esito inevitabile in un Paese, come l’Italia, caratterizzato da un grado di minore cultura generale e di minore competenza specifica della popolazione. Il giudizio di Spirito è spietato: «Gli uomini politici sono di livello via via più basso e il costume politico diventa più banale e volgare. La fazione e il personalismo imperano incontrastati e i più mostruosi compromessi si accettano senza seria opposizione e senza scandalo.
Gli istituti della democrazia sono in disfacimento e su di essi allignano le forme più negative della convivenza sociale. Un’atmosfera di ipocrisia domina dappertutto e oscura anche le più nobili intenzioni». E quanto avrebbe avuto modo, il filosofo, di trovare tristemente confermate le sue tesi anche più di mezzo secolo dopo, quando piuttosto egli pensava a una crisi di transizione, a una fase di passaggio, sia pure di ampiezza maggiore rispetto al passato. Per Ugo Spirito, infatti, era in atto per la prima volta un processo di unificazione che fonde le storie con la storia, al di là di ogni limite e confine. La realtà si unifica perché si impone la scienza e declina il sapere religioso e filosofico. Occorre prenderne atto, secondo Spirito, politicamente: la degenerazione intellettuale e morale dell’istituto democratico è conseguenza di un nuovo modo di vivere e di pensare che ha superato quella concezione dell’uomo che ne era a fondamento. E chissà che la persistenza in questa fase degenerativa non sia invece piuttosto il risultato di una scienza abbandonata a se stessa, senza più, se non il limite, almeno il confronto con la religione e la filosofia. Si tratta comunque – sia nelle analisi giustissime, sia nelle prospettive non sempre azzeccate – di un pensiero da riscoprire e da sottrarre all’oblio, al quale invece è consegnato al di fuori dell’ambito scientifico.